Il Paretaio e la Palazzina

paretaio 1

Un luogo, anzi, un microtoponimo ben conosciuto dagli abitanti di Montalbino è il “Paretaio”. Si trova nei pressi della ex-cappella di Santa Maria a Mensoli, sulla sommità di un piccolo poggio. Questo paretaio è ancora ben conservato nella sua forma d’insieme: è un caratteristico boschetto a forma circolare che lo rende ben visibile anche da lontano.

Già in un vecchio post avevo parlato dei pareatai e a cosa servissero. Ripeto brevemente che erano luoghi artefatti costituiti da un boschetto con dei posatoi, una capanna in cui il cacciatore si nascondeva e delle reti tirati su a guisa di pareti (da qui il nome) collegati con delle corde che partivano dalla capanna ove il cacciatore tirandole richiudeva le reti intrappolando gli uccelletti. Questo metodo di caccia veniva denominato, almeno da queste parti, con il termine “uccellare”.

A differenza del paretaio che si trovava nei pressi del podere “Poderaccio”, o come si chiamava una volta il “Palazzaccio”, che ho descritto l’altra volta, in cui è conservato il capanno in muratura del cacciatore e sono scomparse le piante, in questo paretaio presso la cappella di Mensoli invece sono conservate le piante, ma è sparito il capanno del cacciatore che probabilmente non era in muratura ma fabbricato in legno.

Nonostante la prossimità alla cappella il Paretaio non era all’interno del podere di Mensoli, che era il podere di proprietà pro tempore del parroco di San Giusto a Montalbino, ma per pochi metri era nel podere della “Palazzina”, facente quindi parte del popolo di San Lorenzo a Montalbino. Il podere Palazzina prende il nome dalla casa colonica che si trova nei pressi del paretaio, anch’essa su un punto panoramico. Questa casa colonica fu ristrutturata all’inizio del ‘900 e ne uscì così bella che la gente del posto incominciò a chiamarla Palazzina soppiantando il vecchio nome “il Poggio”.

Ebbene, il vecchio podere il Poggio ha la sua storia da raccontare.

In origine questo podere era un tuttuno con quello confinante di Mensoli e con altre particelle di campi coltivati e di boschi. Era quindi inglobato in un ampia proprietà appartenuta alla famiglia fiorentina de’ Rossi di cui ho già parlato in precedenza. Senza ripetermi accenno che con un atto testamentario del 1498 i de’ Rossi cedono queste terre di Montalbino sia alle monache di Santa Felicita di Firenze (i due terzi) sia al capitolo della Pieve di San Pietro in Mercato presso Montespertoli (un terzo). Questi due enti furono in un primo tempo compropietari e solo in un secondo tempo stabilirono di spezzare l’antica proprietà in due, con confini ben precisi. La cappella di Mensoli con le terre circostanti andarono al pievano di San Pietro in Mercato.

podere il Poggio

Questo podere di Mensoli fu poi ulteriormente diviso in due dal pievano per venderne una parte alla famiglia Galli di Firenze. Si tratta della parte sulla sommità del poggio e che in futuro verrà chiamato appunto “Podere il Poggio”. Ma ancora non aveva questo nome. Siamo nella prima decade del ‘600 e questo acquisto che fece la famiglia Galli fu il primo di una lunga serie che verrano effettuati nel territorio montespertolese. I Galli, che da lì a poco acquisteranno il titolo nobiliare di Conte, diventeranno i maggiori proprietario terrieri di Montespertoli ed acquisteranno anche il castello presso il capoluogo, castello che era appartenuto ai Machiavelli e che diventerà quindi il Castello dei Galli, poi diventato per l’accorpamento delle famiglie il Castello dei Galli-Tassi, e infine, dopo la vendita di tutte le proprietà al padre del famoso Barone Sydney Sonnino, verrà conosciuto, come tuttora, con il nome di Castello di Sonnino. E così questa vastissima proprietà, la maggiore del territorio comunale e che quindi ne è stata protagonista nella storia di Montespetoli, non ha avuto origine come si potrebbe pensare dal nucleo centrale costituito dal castello nei pressi del capoluogo, ma ha avuto origine da una zona decentrata, da questo podere nei pressi di Montalbino.

Ma andiamo per ordine. In un decimario che si trova alla pieve di San Pietro in Mercato del 1587, redatto dal pievano Orazio Corsi, quindi antecedente all’acquisto del podere da parte dei Galli, troviamo un elenco di tutti i popoli che compongono il piviere e che quindi gli erano tributari dovendo pagare la “decima”, e per oguno di essi il Corsi fa l’elenco dei poderi di cui i popoli sono costituiti. Ebbene, nel 1587 il podere di Mensoli non appare nell’elenco dei poderi del popolo di San Giusto a Montalbino e nemmeno in quello del popolo di San Lorenzo a Montalbino. Questo probabilmente perchè nel decimario venivano elencati tutti quei poderi soggetti al pagamento della decima alla Chiesa, ma essendo il podere di Mensoli di porprietà diretta della Chiesa l’intero suo ammontare andava al prete e non una decima parte.

Palazzina 1

Un altro decimario che si trova nell’archivio della pieve di San Pietro in Mercato, è del 1700 e il pievano che lo redasse fu Francesco Ciferi. A questa data i Galli avevano fatto l’acquisto da circa 90 anni e troviamo infatti nell’elenco dei poderi del popolo di San Lorenzo a Montalbino il “podere luogo detto Mensoli” che sappiamo era la metà dell’originario podere, quello sulla sommità del poggio. L’altra metà, quella intorno alla cappella, nel 1700 era ancora di proprietà della pieve e lo deduciamo dal fatto che ancora non appare nell’elenco dei poderi del popolo di San Giusto. Abbiamo prova certa che questo podere fu ceduto dal pievano al parroco di San Giusto a Montalbino da lì a pochi anni grazie ad uno stralcio di cronacario parrocchiale di Montalbino che ho trovato nell’archivio storico diocesano di Firenze che ho gia menzionato: il curato Giovanni Candido Borghetti parla di una vicenda dovuta a certa legna tagliata. E’ un documento del 1707, quindi in questo anno la porzione del podere di Mensoli era già di poprietà pro tempore del curato di San Giusto a Montalbino. Poi, nel 1770, un altro curato di Montalbino, don Pietro Chiti farà una descrizione accurata di questa proprietà definendola “annesso di Mensoli.”

Quindi si potrebbe dedurre che una volta i preti di San Giusto a Montalbino divennero proprietari della cappella abbiano voluto dare il nome del podere annesso con quello della cappella stessa, Mensoli, e allora il Conte Galli, per evitare un nome doppione mutò quello del suo podere in un semplice “Poggio”, e infatti dallo stato d’anime della parrocchia di San Lorenzo a Montalbino che inizia nel 1766 troviamo che il curato Piermaria Bigazzi chiama questo podere “il Poggio”.

E arriviamo alla parte conclusiva di questa microstoria ritornando al nostro paretaio. Sulla mappa catastale leopoldina del 1821 troviamo il nostro podere con la casa colonica denominata curiosamente “Villa del Poggio”. Avendola chiamata villa farebbe pensare che oltre all’abitazione del contadino mezzadro ci fosse stato all’epoca anche un appartamento ad uso del proprietario e cioè che il Conte Galli ci potesse andare a villeggiare. Che lo usasse come luogo base per le battute di caccia? Può darsi. E curioso inoltre constatare che sulla carta catastale il paretaio nel 1821 ancora non esisteva. Eppure in questa mappa vengono segnalati i paretai e ne appaiono anche diversi nei dintorni di Montalbino. Quindi il nostro paretaio fu realizzato dopo il 1821, e fu fatto presso la “Villa del Poggio” innanzitutto perchè era un luogo favorevole per fare un paretaio che altro non è che un posatoio per uccelli migratori, e poi forse perchè presso la casa colonica c’era già un appartamento padronale ed era quindi logisticamente adatto per il Conte Galli: probabile andasse ad uccellare di prima mattina e quindi egli si recava la sera avanti, pernottava nell’appartmento ed era già pronto e sul posto la mattina seguente.

Come ho già detto altre volte queste ricostruzioni di microstoria sono frutto di deduzioni che si appoggiano su alcuni documenti, però la scoperta di nuovi documenti potrebbero dare nuova luce e magari cambiare qualche carta in tavola. Vedremo in futuro. Intanto godiamoci il paretaio così come appare oggi, un luogo panoramico molto bello dove lo sguardo pare spaziare per mezza Toscana.

Paretaio 2

Il pio legato non adempiuto

pio legato verdiani

Già un paio di volte in questo blog abbiamo avuto a che fare con dei pii legati: uno della famiglia del Benino legato alla cappella di San Sebastiano nella parrocchia di San Lorenzo a Montalbino, e un altro della famiglia de Rossi legato alla cappella di Mensoli nella parrocchia di San Giusto a Montalbino. Come abbiamo avuto modo di capire il pio legato era un legame perpetuo tra una famiglia e una chiesa nato da un testamento dove la persona richiedeva per la sua anima, una volta deceduto, un numero determinato di messe in un giorno particolare dell’anno, o in più giorni all’anno, impegnandosi a dare un determinato compenso al prete o ai preti che prendevano parte alla cerimonia. Il tutto in perpetuo. Quindi una sorta di contratto, un legame, appunto, che univa per sempre quella data chiesa con quella data famiglia.

C’è da chiedersi: ma se col passare delle generazioni la famiglia legata si impoveriva come poteva continuare ad adempiere a questa sorta di giuramento? Oppure, impoverimento o no, in generale a cosa andavano incontro coloro che non adempivano al pio legato? A Montalbino ci fu proprio un caso del genere. Ce lo racconta nel cronacario il rettore Pietro Chiti (parroco dal 1756 al 1802). La pagina che ci ha lasciato, rinvenuta nell’archivio storico arcivescovile, non è prorpio grammaticalmente allineato con l’italiano dei giorni nostri e alcuni passaggi devono essere interpretati. Comunque in linea di massima si capisce. Ecco la trascrizione. I puntini di sospensione sostituiscono delle abbreviazioni che all’epoca andavano molto di moda e che non sono riuscito a capire il significato.

Ricordo come a tenore del testamento fatto da Orazio di Luigi Verdiani sotto di 18 novembre 1645, rogato da sig. Pier Francesco Giovacchini da Firenzuola, i Signori Andrea e Reverendo Signor Ferdinando Verdiani del Pino p. di San Bartolomeo a Tresanti come eredi del sopraddetto testatore, instanza amichevolmente fattagli da me Padre Pietro Neri Maria Chiti curato di San Giusto a Montalbino, si trovarono obbligati a fare in perpetuo un ufficio anniversario in questa chiesa, con messa cantata, e cinque piane; quale ufficio suddetto si è potuto congetturare lo spazio di anni 60 circa da loro antenati, .. che dimenticanza era stato tralasciato; a tale effetto i suddetti signori anime loro, perchè troppo gravoso, e superiore alle loro possibilità ora il soddisfare a questo l’arretrato, chiesero la sanatoria a Roma, e ne ottennero il rescritto favorevole sotto di 29 agosto 1762; … apparisce dal loro memoriale che il curato pro tempore di Montalbino ha facoltà di far condannare i suddetti signori Verdiani in scudi quaranta, … due anni contigui tralasciassero di far suddetto ufficio e suddetta somma deva servir come dote per far sudetto ufficio, … costa da altro ricordo qui più avanti annesso … La soddisfazione di suddetto ufficio sopra registrata al libro della congregazione della Buona Morte, e ricordi di questa cura, quasi in fine.

Dunque, la prima parte è quella più semplice. Nel 1645 Orazio Verdiani aveva rogato il testamento con il notaio Pier Francesco Giovacchini in cui richiedeva per la sua anima un ufficio di sei messe per ogni anniversario (probabilmente della sua morte) di cui una solenne e cantata, e altre cinque “piane“, cioè delle messe semplici. Questo pio legato però è da molti anni che non viene adempiuto e don Chiti “amichevolmente” lo fa presente agli eredi di Orazio, i signori Andrea Verdiani e il prete Ferdinanado Verdiani (non sappiamo se fratelli o cugini) che non abitano più a Montalbino, ma al podere il Pino, nel popolo di Tresanti. Nella sua memoria don Chiti non ci dice in quanto doveva consistere la ricompensa per il prete che doveva fare l’ufficio, ma rammenta solo che i due eredi si erano dimenicati di richiederlo, ma soprattutto pare di capire che non si è trattato di una semplice dimenticanza dei diretti interessati, me che in famiglia se n’era persa memoria da tempo. Don Chiti dice che “si è potuto congetturare lo spazio di 60 anni da loro antenati.” Forse vuole dire che erano ben 60 anni che non si era adempiuto all’obbligo del pio legato. Quindi pare che don Chiti rovistando tra le carte dell’archivio parrocchiale si sia imbattuto nel testamento di Orazio Verdiani e lo abbia scoperto solo all’ora. Il suo predecessore, don Borghetti, probabilmente non ne aveva mai fatto menzione e non aveva mai ricordato ai Verdiani tale obbligo, per questo si era persa memoria. Il mancato adempimento del legato per così tanti anni aveva fatto accumulare una multa salatissima che gli eredi Verdiani, caduti dal pero, ammisero di non avere le sostanze per pagare una tale cifra. Si scopre infatti più in avanti nello scritto che il prete pro tempore di Montalbino, secondo l’accordo rogato nel 1645, poteva richiedere una multa di 40 scudi se per due anni non veniva ordinato l’ufficio dagli eredi di Orazio. E se gli anni saltati sono i 60 che il Chiti “congettura” sarebbe un totale di 1200 scudi. I Verdiani fanno richiesta direttamente a Roma per avere una sanatoria. La ottengono in data 29 agosto 1762, il debito così viene estinto, ma se ho capito bene rimane da quel momento in poi l’obbligo di continuare con il pio legato, pena la medesima multa se dovessero da quel momento in poi non adempiere con la richiesta dell’uffizio. E’ un po’ oscuro il passaggio del Chiti che dice che il prete pro tempore ha il potere di comminare una multa di 40 scudi se i Verdiani tralasciassero per due anni di far fare l’uffizio, e che tale somma servirà per dote per fare comunque tale uffizio. Quindi alla fine verrà fatto lo stesso.

Come accennato manca il passaggio in cui si dice quale sarebbe il normale compenso nell’adempiere l’uffizio annualmente. Non sta scritto nemmeno in un altro ricordo in cui il Chiti accenna, “… costa da altro ricordo qui più avanti annesso …” che effettivamente sta qualche pagina più avanti. Esso pare scritto pure quello da don Chiti, ma dovrebbe trattarsi di una trascrizione di un originale che probabilmente è quello risalente al 1645. L’originale che oggi manca fu senz’altro vergato dal parroco di Montalbino dell’epoca, don Luigi Verdiani, figlio di Mariano, probabile parente del testamentario Orazio, figlio di Luigi Verdiani. In questo documento, che è quello che aveva ritrovato don Chiti in archivio, si parla dell’uffizio che fa parte del testamento di Orazio Verdiani rogato dal notaio Pier Francesco Giovacchini di Firenzuola, che consta in sei messe di cui una cantata, e si parla della multa di 40 scudi se vengono saltati due anni. Ma anche qui nessun accenno a quanto concerne la donazione che la famiglia Verdiani dovrebbe dare per la normale esecuzione annuale dell’uffizio. Evidentemente dovevano esserci in origine altri fogli che sono andati perduti.

Quello che è interessante scoprire da questa vicenda è che in caso di inadempimento di un pio legato, ma ipotizziamo anche in caso di volontà di scioglimento, le carte per risolvere la situazione dovevano essere inoltrate direttamente a Roma, quindi non era sufficiente il vescovo della propria diocesi. I pii legati erano accordi talmente solenni e sacri che solo il papa, o chi era delegato da lui in Vaticano, poteva mettervi mano.