La misteriosa morte di Gaetano Lapi

Pesciola

Tempo fa, scorrendo il registro dei defunti della chiesa di San Giusto a Montalbino all’Archivio Storico Arcivescovile di Firenze, mi cadde l’occhio su una curiosa annotazione. Si tratta di un decesso che fu una disgrazia allorché riguardò un ragazzo di tredici anni. Ne presi nota e adesso a distanza di anni mi soffermo a fare delle considerazioni.

Il reverendo Pietro Chiti, Rettore di San Giusto a Montalbino, annota con lo stile asciutto tipico dei registri, che il giorno 3 giugno del 1773 muore Gaetano Lapi, di tredici anni, figlio di Agostino, annegato nella Pesciola, e il cui corpo viene ritrovato nel territorio di Santa Maria a Loto. Il prete usa proprio il termine “annegato”. Una prima domanda che ci possiamo porre è se don Chiti avesse saputo la dinamica della morte di Gaetano, cioè vennero a dirgli di questa disgrazia e c’è chi vide il ragazzo cadere in acqua e portato via dalla corrente. Il torrente Pesciola faceva da confine tra le parrocchie di San Giusto a Montalbino e San Bartolomeo a Tresanti, mentre Santa Maria a Loto si trovava oltre Tresanti. Comunque sono territori piccoli e tra Montalbino e Loto la Pesciola vi scorre, a forza di insenature, per sì e no un chilometro. Quindi il ragazzo muore annegato e le ricerche si concludono nel territorio della parrochia di Santa Maria a Loto.

Ma non è detto che sia andata così. Don Chiti dice che il corpo fu trovato a Santa Maria a Loto, quindi può darsi anche che Gaetano Lapi, abitante di Montalbino, fosse andato a Loto con le sue gambe e quando si trovò in quel luogo sia caduto in Pesciola annegandovi e il corpo rimase lì finchè fu fatta la tragica scoperta.

Ma non è detto neanche questa! Don Chiti può avere usato il termine “annegato” per comodità, per il semplice fatto che il corpo era stato trovato nella Pesciola. Ma se Gaetano avesse avuto una morte violenta provocata da un’altra persona e poi il corpo abbandonato nel torrente? Perchè mi faccio tale domanda? Semplicemente perchè guardando la Pesciola oggi pare veramente strano che qualcuno possa esserci annegato dentro. E’ un piccolo torrente, in gran parte dell’anno un rigagnolo o addirittura completamente secco. Nei periodi piovosi ovviamente si ingrossa, ma ho rivisto la Pesciola ingrossata dalle pioggie e rimane sempre un piccolo torrente dove obbiettivamente non ci si può annegare. E poi Gaetano Lapi era un ragazzo di tredici anni, non un bambino di tre. Consideriamo anche che all’epoca la statura media era molto inferiore ad oggi e un ragazzo di tredici anni poteva essere alto come un bambino di dieci/undici anni di oggi, ma rimane sempre improbabile rimanere annegati in Pesciola.

Allora possiamo fare due considerazioni. La prima è che all’epoca le pioggie fossero di maggiore portata di oggi. Viene in mente la piccola glaciazione del XVII secolo e di come attualmente il clima stia cambiando non solo per l’azione nefasta dell’Uomo, ma anche perchè per natura il clima mondiale è ciclico e alterna periodi più freddi e umidi con altri secchi e caldi come adesso. Quindi non possiamo immaginare come fosse stato il clima nel XVIII secolo, forse i periodi di pioggia erano più prolungati e impetuosi e quindi il nostro piccolo torrente poteva trasformarsi in un pericoloso fiume agitato. Ma ci vorrebbe una ricerca scientifica sui dati delle precipitazioni dell’epoca: una materia che non è la mia e di cui non sono in grado di addentrarmi e affrontare; quindi lascio in sospeso questa considerazione nella speranza che la palla venga presa da chi si intenda di queste cose.

Rimane la seconda considerazione, quella di una morte indotta da qualcun’altro. Ovviamente non penso ad un assassinio efferato: non se ne vedono motivi. Gaetano era figlio di Agostino Lapi. Agostino nel 1800 risulta ancora residente a Montalbino da un registro di “boccaioli” che ho visionato tempo fa all’Archivio Storico del Comune di Montespertoli. Nel 1800 Agostino risultava pigionale ed aveva 70 anni. Pigionale vuol dire che viveva in affitto quindi non era un contadino, ma un bracciante. Quando gli morì il figlio, nel 1773, aveva 43 anni e non sappiamo se all’epoca era un contadino mezzadro o se era sempre un bracciante. Se fosse stato bracciante allora la sua non era una famiglia numerosa come quella dei contadini, ma probabilmente avrà avuto un figlio, massimo due, quindi la morte di Gaetano fu un colpo ancor più duro per il povero Agostino. Quindi, a parte le dilungazioni, chi avrà voluto la morte del giovane Gaetano? Ovviamente nessuno. Penso casomai ad una bravata, ad un gioco pericoloso tra ragazzi, come per esempio qualcuno si sia divertito a mettere la testa di Gaetano nell’acqua come per fargli fare una penitenza non accorgendosi che lo stava tenedo troppo provocandone così la morte, e una volta accorti di quello che avevano combinato i ragazzi siano fuggiti impauriti lasciando nel torrente il corpo di Gaetano.

Insomma, quante speculazioni possiamo fare dalla breve annotazione sul registro dei morti fatto da don Pietro Chiti! Alla fine è solo la fantasia che trova nutrimento da questa annotazione e oggi nessuno può sapere come andarono veramente le cose. L’unica cosa certa è che fu una disgrazia e i genitori piansero addolorati la morte del figlio.

Una ricostruzione di come era un tempo la chiesa di Montalbino

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Facendo questa ricerca si riesce a trovare ogni tanto qualche elemento che serve per ricostruire la lunga storia di questa piccola comunità, o, come in questo caso, la lunga storia della chiesetta di San Giusto a Montalbino: piccoli tasselli utili per avere una visione di come apparisse una volta l’edificio.

Nel cronacario parrocchiale abbiamo già visto che don Mantellassi nel 1947 si era deciso ad avviare i lavori per fare un fonte battesimale dentro la chiesa, ma con questa scusa aveva messo mano ad altri cambiamenti sia dentro che fuori l’edificio sacro. Riporto di seguito due interventi in cui traspare l’entusiasmo del giovane prete: il primo ci dà un resoconto sulle prime spese affrontate, ma è il secondo intervento quello che a mio avviso è più interessante.

25 Ottobre 1947

Inizio dei lavori: è sabato: giorno di buon augurio perchè è giorno consacrato alla Madonna … e siamo poi nel mese di Ottobre! La prima martellata rituale è stata data dal Parroco nella parete in fondo di Chiesa, dove dovrà aprirsi la porticina che immetterà nella sala di ingresso della canonica; … subito dopo il muratore, Frosali Nello, ha iniziato il lavoro di sbrano nella parete. Sul piazzale della Chiesa intanto, dove da qualche giorno già era stato preparato ed ammassato il materiale, l’altro muratore Frosali Alfredo stava spengendo la calcina.

Uno sguardo al piazzale antistante la Chiesa, in assetto di lavori in corso, disseminato quà e là di arnesi e di materiale, ci darà modo di registrare [?] e … doverose. La rena che si vede ammonticata in due grossi mucchi l’hanno portata con i loro bovi e i loro carri, alcuni contadini della Parrocchia e l’hanno portata cavandola dal torrente “Pesciola” in quella parte che divide la Parrocchia e da Tresanti e da San Martino a Maiano. La calcina e i mattoni sono stati acquistati presso il signore Bertelli fornaciaio di Montespertoli, al prezzo favoloso di 10 lire ciascuno; l’altro monte di mattoni è stato acquistato presso il signor Caverni fornaciaio di Baccaiano-Ginestra, per un totale complessivo di 16.500 lire; i due ballini di cemento appoggiati e adagiati nella rena sono stati acquistati uno a Montespertoli l’altro alla Ginestra al prezzo di 4.800 £ cad. … Così da qualche giorno il cassiere che è Cavallini Corrado ha dovuto metter mano alla cassa … prima che i lavori finiscano quante volte dovremo bussare a questa cassa! E non solo a quella del Comitato.

Un resoconto delle spese sarà esposto a suo tempo.

Quindi come prime spese abbiamo 16.500 lire di mattoni e due ballini di cemento di 4.800 lire l’una per un totale di 26.100 lire. Ma sentite cosa scrive dopo qualche giorno don Mantellassi:

3 Novembre 1947

Già sono trascorsi nove giorni dall’inizio dei lavori: questi procedono alcramente, allestiti pure dall’aiuto del Parroco che di quando in quando, nei limiti delle proprie possibilità, non disdegna di fare da manovale. La porta in fondo di Chiesa è già quasi ultimata ed ugualmente il nuovo ingresso alla Sacrestia. Queste due nuove aperture, operate a suon di scalpello, hanno rischiesto molto lavoro ed altrettanta non poca fatica. Nell’aprire i due vani si sono incontrate delle grandi pietre tutte ben pulite e bene squadrate quasi fossero l’interno di una Chiesa Romanica. Nell’aprire la nuova porta della Sacrestia si sono travati, nella parte interna della Sacrestia, in due buchette solo ricoperte dall’intonaco, due nidi, … con tutta probabilità anzi con tutta certezza, perchè nidi di volatili. La parete in argomento era una parete esterna cui non era, anticamente, adiacente la Sacrestia.

Intanto è stato mandato al signor Caselli, falegname di Lucardo, la vecchia porta di Sacrestia perchè sia riadattata alla nuova forma.

Quindi, la “grande” scoperta sono i nidi di volatili (probabilmente rondini) ritrovati nel muro che divide la sacrestia dalla chiesa. Segno inequivocabile che un tempo la parete settentrionale della chiesa era esterna e non aveva appoggiata, non solo, la stanza della sacrestia al suo fianco, ma neanche la canonica: questo lo posso dichiarare per la testimonianza dei vecchi che oggi non ci sono più, ma che hanno tramandato il ricordo che una volta, quando loro erano giovani, al posto della porta d’ingresso della canonica c’era un arco che immetteva direttamente sul retro dell’edificio della canonica, mentre il piano superiore della canonica stessa era poggiante alla chiesa. Invece, secondo i vecchi, la sacrestia era già lì, al fianco della chiesa e collegante con essa con la porticina dietro l’altare tramite lo “svincolo”. Guardando oggi la sacrestia, che fu restaurata al tempo di don Livi nel 1943, non pare un edificio tanto vetusto come invece appaiono, per esempio, le mura dello “svincolo” che serviva da collegamento tra chiesa e sacrestia. Farebbe pensare che la sacrestia sia stata innalzata, al limite, nella metà del XIX secolo, periodo in cui purtroppo molta documentazione è stata smarrita e quindi non possiamo avere delle testimonianze di eventuali lavori di ampliamento. Rimane da capire cosa fosse in origine quello che io definisco svincolo, ma che ai tempi di don Livi e di don Mantellassi era già stato ampliato formando una sorta di anticamera alla sacrestia e in cui era custodito l’archivio parrocchiale. Assodato che la sacrestia un tempo non c’era tant’è che il muro della chiesa era esterno e le rondini (o dei piccioni) ci avevano fatti il nido in delle buche, quello “svincolo”, che ha pareti antiche, non portava a niente. Penso di non errare se attribuisco quella piccolissima cella, che si accedeva dall’angolo dietro l’altare, al ripostiglio dei vasi sacri utili per la messa: calici, pissidi, patene, ampolle … E’ normale ancora oggi trovare in edifici antichi, soprattutto piccole cappelle che non avevano una sacrestia, una sorta di “armadio a muro” dietro l’altare per riporvi il necessario della messa: quindi una volta la chiesa di San Giusto a Montalbino (che nasce come cappella di un castello) probabilmente aveva questa sorta di ripostiglio. Ricordo inoltre che un tempo la vestizione del prete con i paramenti sacri avveniva in chiesa, ai piedi dell’altare, quindi non era proprio necessario avere una stanza adibita a sacrestia.

Di seguito due piantine della chiesa (come sempre sproporzionate e fatte alla buona) che illustrano come erano sistemati i volumi tra loro di chiesa, canonica, sgrestia e il cosiddetto svincolo. La prima piantina prima della costruzione della sagrestia, e la seconda piantina dopo la sua costruzione.

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Le modifiche della chiesa di Montalbino del 1947

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In questo breve passaggio di don Mantellassi, parroco di San Giusto a Montalbino, nel cronacario parrocchiale datato 23 ottobre 1947 possiamo trovare indicazioni preziose per scoprire come era sistemata la chiesa di San Giusto prima degli interventi che si appresterà a fare di lì a poco. Ovviamente don Mantellassi scrive questo passaggio per registrare semplicemente la marcia di avvicinamento ai lavori per la costruzione del fonte battesimale, ma adesso a noi interessa “vedere” com’era la chiesa. Ecco cosa scrive; il suo intervento è breve, ma si può dividere in quattro parti:

E’ giunto finalmente a Montalbino da Firenze il muratore Frosali Nello il quale insieme al fratello Frosali Alfredo dovrà eseguire i lavori che il Parroco da tempo ha progettato.

Come mai il muratore deve venire da Firenze? La risposta è semplice: la famiglia Frosali vive a Montalbino e alcuni di loro si sono dedicati all’edilizia. Nello, il muratore, si era sposato e non viveva più a Montalbino. Il dubbio rimane se era andato a vivere proprio a Firenze oppure se in città era andato per fare un lavoro che era durato del tempo. Comunque qui a Montalbino viveva il fratello Alfredo che faceva il manovale e nel periodo che furono impegnati per i lavori nella chiesa Nello sarà stato ospite dal fratello. Ma andiamo avanti:

Il fonte Battesimale verrà costruito dove attualmente c’è la porticina che dalla sala d’ingresso immette nella chiesa e la porticina verrà trasportata infondo alla chiesa.

Questo è un passaggio molto interessante: per chi conosce la chiesa di Montalbino sa che appena entrati sulla sinistra c’è una porticina antica che immette nella canonica. Ebbene, la partocina prima era collocata più avanti dove ora sorge la nicchia del fonte battesimale. Ma la parte più interessante arriva adesso:

Dovrà essere pure rimossa la porta che dalla chiesa immette in Sacrestia e questa porta attualmente (nell’abside) a sinistra dietro l’altare verrà aperta di fianco all’altare sempre in cornu Evangelii.

Attualmente, infatti, al fianco dell’altare c’è una porta centinata che introduce nella stanza della sacrestia. Ebbene, prima, per andare dall’altare alla sacerestia c’era un percorso più tortuoso. Infatti dietro la chiesa c’è una sbalza e pensare che dietro l’altare c’era una porticina fa pensare che si aprisse nel vuoto; e invece da qui, come dice don Mantellassi, si andava in sacrestia. Allora l’unica possibilità di ricostruzione è prendere in considerazione un minuscolo ripostiglio che si trova nella cella del campanile. All’epoca il campanile con la sua stanzetta a terreno dove cadono le funi non esisteva, ma c’era un ambiente leggermente più piccolo che era adibito ad archivio. Attualmente le mura di questa stanzina sono moderni, tranne un piccolo ripostiglio che è un tutt’uno con la stanza delle funi, che accenna a svilupparsi dietro il muro posteriore della chiesa. Questo minuscolo ripostiglio ha delle mura spesse a che paiono antichi. Oggi appare suddiviso con dei ripiani in muratura per stiparvi dei candelabri. Ebbene, il piccolo ripostiglio probabilmente, anzi, sicuramente, fungeva da ambiente di passaggio, uno svincolo da cui si passava dalla chiesa alla sacrestia.

Però dobbiamo accennare al fatto che un tempo la sacrestia non era nemmeno lì e la parete di sinistra della chiesa era una parete esterna, come lo è a destra. Quindi quel minuscolo svincolo, che con don Mantellassi è diventato un minuscolo ripostiglio, probabilmente in origine era proprio un ripostiglio che si apriva dietro l’altare in cui vi venivano riposti i sacri vasi utilizzati per la messa. Per meglio capire cosa ho descritto (in modo così poco chiaro) rimando alle piantine che si trovano infondo al post. Ed ora l’ultima parte del resoconto di don Mantellassi sul cronacario:

Davanti alla chiesa dovrà sorgere una gradinata che permette l’accesso ad essa senza pericolo di cadere per terra … attualmente non vi sono che ciottoli, sbalzi e buche; … a sinistra poi dove attualmente c’è quella macchia davvero accia tutta spelacchiata dai cavalli dei trecconi che han scelto questo posto per [ripararsi] dai raggi del sole, dovrà sorgere un tabernacolo sacro alla Madonna.

Di quest’ultima cosa ancora nessun disegno preciso!

Anche questo passaggio è prezioso per farci rendere l’idea di com’era la piazzetta esterna alla chiesa. Ma ancor più ci fa capire il carattere di don Giovanni Mantellassi che era sempre pieno di iniziative: quindi non solo fare un fonte battesimale alla chiesa, ma aprire nuove porte, rifare il sagrato alla chiesa, erigere anche un tabernacolo alla Madonna; insomma, era un fiume in piena e Montalbino verrà plasmato da questo prete creativo.

Di seguito ecco due piantine di come appariva la chiesa e le stanze adiacenti prima e dopo le modifiche apportate da don Mantellassi alla fine del 1947. Le piantine le ho fatte ad occhio alla buona e quindi perdonate la grossolanità, basta dire che le proporzioni sono tutte sbagliate e che per esempio lo svincolo/ripostiglio è molto più piccolo di come l’ho rappresentato. Ma è solo per rendere l’idea.

La pianta della chiesa prima del 1947

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La pianta della chiesa dopo gli inteventi di don Mantellassi del 1947

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Il preventivo del fonte battesimale

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Il giovane don Mantellassi, parroco di San Giusto a Montalbino dal 1945, si fece subito conoscere dai suoi nuovi parrocchiani. Egli era un tipo pieno di iniziative, si potrebbe dire vulcanico, e la richiesta da parte di una parrocchiana di far battezzare la bambina nella propria chiesa parrocchiale, probabimente il primo della storia di Montalbino, fece scoccare in lui la prima di innumerevole scintille. Gli balenò in testa l’idea di costruire un fonte battesimale nella chiesetta di Montalbino ed emanciparla dalla secolare sudditanza con la Pieve di San Pietro in Mercato: da ora in poi tutti i bambini montalbinesi avrebbero ricevuto il battesimo nella loro chiesa. Ecco l’andamento della storia come ce la descrive lo stesso don Mantellassi nel cronacario.

22 settembre 47

Il Parroco volendo ormai attuare quello che fino ad oggi è stato un vivo ed assillante desiderio, la costruzione del Fonte Battesimale, e volendo ancora compiere altri lavoretti nella chiesa ed extra Ecclesia, ha richiesto intanto un disegno del Fonte Battesimale a Don Marcello Peruzzi, che attualmente sta studiando per la laurea in architettura ….

Già da questo breve resoconto capiamo che don Montallessi una l’ha pensata ma che cento ne farà. Ma andiamo con ordine e vediamo come va con il fonte battesimale.

Ottobre 1947

Giunge il disegno di don Marcello Peruzzi … è un disegno semplice modesto … ma piace assai, fattolo vedere ad alcuni del popolo ed al piccolo comitato il Parroco è stato pure da loro incoraggiato per costruirlo quanto prima e costruirlo su quel disegno.

17 Ottobre 1947

Indirizzato dal padre di don Gabrielli, amico del Parroco, questi ha oggi presentato il disegno ad un certo Ruggini Alfredo marmista e scultore di Monticelli (Firenze) e ne ha lui richiesta relativa perizia.

21 Ottobre 1947

Giunge da Monticelli (Firenze) una lettera contenente la perizia redatta dal medesimo Ruggini … lettera così concepita: “Ci riferiamo alla vostra gradita richiesta e vi significhiamo che potremo eseguirvi un fonte battesimale come presenta il vostro disegno in scala 1:10 in marmo bianco chiaro, eseguito in perfetta regola d’arte, forato per lo scarico dell’acqua, lucidato su tutte le parti viste, reso franco partenza dal nostro laboratorio per il prezzo di £ 44.000. In pietra forte arrotata il prezzo è di £ 65.000.

In attesa di leggervi, distintamente vi salutiamo.”

Dietro consiglio anche di don Marcello Peruzzi il Parroco sceglie e di comune accordo con il comitato, decide di far eseguire il lavoro in pietra forte. La spesa invero è assai alta e marcatamente superiore alle altre … ma la promessa di un lavoro con esito molto migliore alletta … “maiora viribus audare”. Saranno necessari più sacrifici … sarà necessario moltiplicare le iniziative … ma la certezza di aver donato alla nostra chiesetta un bel lavoretto conforta e compenserà tutto. Il Signore non mancherà di aiutarci!

I puntini di sospensione sono trascritti come sono stati messi: don Mantellassi ne faceva gran uso. Purtroppo nell’archivio parrocchiale non si trova più il preventivo di Alfredo Ruggini, ma è conservata la lettera di risposta datata 5 novembre che il Ruggini mandò dopo che il Mantellassi gli aveva confermato di scegliere l’opzione in pietra forte. Il testo dice:

Abbiamo ricevuto la Vostra in data del 25 mese scorso. Vi ringraziamo per la rimessa d’ordine del lavoro da eseguirsi in pietra forte. Vi assicuriamo un lavoro eseguito in perfetta regola d’arte. Mentre mettiamo in lavorazione il piatto con colonna, attendiamo le Vostre nuove precisazioni riguardo lo scalone.

Da questa risposta si evince che don Mantellassi non si è limitato ad ordinare il fonte battesimale, ma in pentola a bollire ha messo altro. Vedremo prossimamente.

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Il primo battesimo a Montalbino

Immagine chiesa montalbino

Passato il fronte da Montalbino, e finita finalmente la guerra, dopo otto anni di servizio don Angiolo Livi viene trasferito nell’agosto del 1945 in un’altra parrocchia. Si tratta di un trasferimento urgente a Palazzuolo di Romagna (l’attuale Palazzuolo sul Senio) e tra l’annuncio alla popolazione sbigottita e la partenza effettiva avvenuta il 24 agosto 1945 passò meno di un mese. A Palazzuolo era venuto a mancare il prete, si trattava di un paese capoluogo di comune e urgeva subito il sostituto. Per don Livi fu così una promozione anche se andare da tutt’altra parte dell’arcidiocesi lo costrinse ad affrontare un viaggio avventuroso, molto lungo per l’epoca e sicuramente molto disagiato non essendoci mezzi di trasporto organizzati e i ponti tutti crollati.

A causa di questa partenza frettolosa non aspettò neanche l’arrivo del suo sostituto a Montalbino. Egli arrivò il giorno dopo, il 25 agosto: il nuovo prete si chiamava don Giovanni Mantellassi. Egli trovò nella canonica ancora i genitori di don Livi e la sorella Vincenza che si apprestava a sposarsi con una persona di Montalbino. Il matrimonio tra Vincenza e Corrado Cavallini avvenne il 6 ottobre e ad officiarla fu don Mantellassi questo perchè a don Livi era troppo difficoltoso fare ritorno a Montalbino. Dopo questa data Vincenza andò ad abitare con la famiglia del marito e i genitori finalmente partirono anch’essi per Palazzuolo di Romagna lasciando così libera la canonica. Don Mantellassi poté allora far venire i suoi genitori e il fratello.

Chi era don Giovanni Mantellassi? Era nato a Empoli e al suo arrivo a Montalbino aveva 26 anni. Il suo curriculm consisteva nel serivizio di due anni come cappellano a San Mauro a Signa. A Montalbino vi rimarrà per ben 21 anni. Fu un prete molto zelante, pudico, gran arringatore, dal carattere sanguigno, pronto alla lite se era necessario, ma allo stesso tempo sensibile e delicato, con una predisposizione all’arte, eccelleva nel disegno e nella pittura, aveva un buon gusto estetico. L’unica arte in cui difettava era il canto e durante le messe cantate, secondo le testimonianze dei popolani, stonava, ma ciò non gli impediva di organizzare messe cantate e solenni e tutto ciò che poteva esser fatto per la maggior gloria di Dio. Ma si adoprò molto anche per il benessere dei suoi parrocchiani. Lo vederemo nei prossimi articoli impegnato su molti fronti, in polemica con l’Amministrazione comunale, pronto a combattere per le istanze del suo gregge e lui stesso sempre preso da qualche nuova iniziativa. A Montalbino lascerà la sua impronta e tutt’oggi, i montalbinesi che ancora si ricordano di lui, gli riserbano pensieri di gratitudine.

La sua prima “impronta” che lasciò a Montalbino fu la realizzazione del fonte battesimale nella chiesa. Fino ad allora i montalbinesi venivano battezzati alla Pieve di San Pietro in Mercato, o tuttalpiù nella più vicina chiesa di Lucardo. L’idea di realizzare un fonte battesimale gli nacque casualmente per la richiesta di Vincenza Livi di voler battezzare sua figlia nella chiesa di Montalbino, la chiesa che per otto anni aveva officiato suo fratello. Don Mantellassi si adoprò per organizzare questo sacramento il meglio possibile. E’ probabile che la figlia di Vincenza sia stata la prima bambina a ricevere il sacramento del battesimo nella chiesa di Montalbino da quando è stata fondata: più o meno mille anni! L’evento ebbe successo, alla popolazione piacque, ed ecco che a don Mantellassi venne in mente di far costruire un fonte battesimale nella chiesa. Ecco cosa ha scritto nel cronacario:

1 novembre 1946

Un avvenimento un po’ particolare è avvenuto oggi nella nostra Parrocchia: avvenimento che non sarebbe stato notato in queste pagine se da esso non fosse sorto un ottimo proposito.

La sorella di don Livi sposatasi, come già è stato notato, con Cavallini Corrado il 6 ottobre 1945, ha avuto da questo matrimonio una bimba, nata proprio in questi giorni.

Avendo espresso il desiderio di poter battezzare questa sua figlia nella chiesa di Montalbino: chiesa dove per otto anni si conservano i sacri ministeri del fratello sacerdote, e dove condivise col fratello pene, gioie e fatiche, il Parroco a cui è stato riferito questo pio desiderio ha creduto cosa buona l’assorverlo. Si chiedono in prestito gli olii sacri e tutto l’occorrente con l’acqua già benedetta al Parroco di Lucardo, si prepara in chiesa, molto ben accomodato, un porvvisorio fonte battesimale e dopo la messa delle undici ci si accinge all’amministrazione del Battesimo. La gente del popolo che è stata precedentemente avvertita presente alla messa delle 11 si trattiene in chiesa numerosa per assistere alla cerimonica così bella del Battesimo: cerimonia alle quali molti non hanno mai assistito.

Mentre si attende che i padrini portino alla chiesa il battezzando il Parroco spiega ai presenti la cerimonia del Sacramento e il loro misitico significato. La gente assorta attentamente come assetata di tutte queste belle cose.

Amministrato il S. Battesimo con tutte le regole e cerimonie liturgiche si porta la bimba sull’altare della Madonna e vien fatta alla Vergine la consacrazione della neobattezzata.

Dopo la cerimona, contenta e soddisfatta, la gente se ne ritorna a casa … intanto silenziosamente nel cuore del Parroco si forma una proposta alla quale vorrà ad ogni costo dare attuazione: il proposito di costruire il Fonte Battesimale anche a Montalbino.

Vedremo a partire dal prossimo articolo la descrizione dei lavori del fonte battesimale, e non solo, che avverranno dopo un anno.

L’inventario di Maso di Pitacco del 1458

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In un lavoro edito da L.Olshki (Firenze, 1983) curato da M.S. Mazzi e S. Raveggi intitolato Gli uomini e le cose nelle campagna fiorentine del Quattrocento si narra tra le tante anche della vicenda di una famiglia contadina vissuta a San Giusto a Montalbino nella metà del XV secolo. Questo episodio è stato successivamente ripreso in un altro libro, La Pieve di San Pietro in Mercato e la sua Lega (Alla scoperta di fatti e personaggi) di G.C. Bucci e G. Pasqualetti, M.I.R. Edizioni, Montespertoli, 1997. Essendo un fatto che riguarda Montalbino non potevo lasciarlo passare senza citarlo anche su questo blog.

La vicenda è delle più semplici, ma rimane una testimonianza di vita montalbinese di tanti secoli fa. Si parla di una famiglia contadina mezzadra della metà del Quattrocento composta dal marito Maso di Pitacco, la moglie Caterina e i due figli Bartolomeo e Piero. Lavoravano un podere nel popolo di San Giusto a Montabino e il proprietario era Piero di Niccolò del Benino. Sappiamo che nella metà del Quattrocento le terre che dalla cappella di Mensoli fino al castello (o ex-castello) di Montalbino era di proprietà della famiglia de’ Rossi, quindi questo podere doveva essere per forza uno di quelli disclocati lungo il Colle Montalbino, che dal castello scende verso il torrente Pesciola. Da un documento della fine del XVI secolo che già ho trattato non risulta che i del Benino possedessero un podere nel popolo di San Giusto a Montalbino, segno che in quei circa centocinquanta anni lo avevano rivenduto. Casomai successivamente sappiamo che i del Benino possederanno il podere Turignano nel popolo di San Lorenzo a Montalbino. Quindi questo è già un piccolo tassello del mosaico della nostra microstoria che possiamo registrare.

Maso è la sua famiglia non se la passava male. La casa che gli era stata affidata era ampia con una cucina, la sala da pranzo, la camera dei coniugi e due camerette, oltre una cella con annessi un asino e un gregge di pecore. La vicenda che ha fatto sì che i nomi di queste persone arrivassero fino a noi fu la morte di Maso. Caterina rimasta vedova e con due figli ancora piccoli non volle abbandonare il podere e si impegnò a lavorarlo come se fosse un uomo secondo la formula consueta ritrovata nel contratto mezzadrile “a uso d’ogni buono lavoratore”, ma con una clausola: “in chaso che ella chosì non facesse è contenta che si chiami huomini communi”, che in soldoni sta a significare che se lei non fosse riuscita a lavorare il podere come un uomo allora avrebbe dovuto chiamare in suo aiuto uomini “veri”. Caterina dovette essere una donna energica che non le andò a genio di chiamare huomini communi, temendo forse di perdere la gestione del podere stesso. Per quattro mesi mandò avanti la baracca da sola, ma si trattò proprio di un’impresa improba. E allora dovette capitolare chiamando, però, un solo homo commune, Nencio di Paolo, sposandoselo nel luglio del 1458. Fu allora giocoforza far redigere un inventario delle cose appartenute al primo marito affinchè queste cose rimanessero mantenute per i due figli ancora minorenni. Insomma, con la vedovanza Caterina non aveva ereditato niente del marito questo perchè le donne non avevano validità giuridica e gli eredi erano solo i figli, e visto che erano piccoli la madre doveva solo amministrare queste cose in attesa della maggiore età dei figli. Ma adesso che nella loro vita era arrivato un altro uomo fu necessario mettere il tutto nero su bianco perchè non si poteva mai sapere del futuro: mettiamo caso che lei fosse morta e i bambini si ritrovassero con il solo patrigno, costui avrebbe potuto approffittarsi della situazione appropiandosi di oggetti che erano appartenuti a Maso. Ed ecco che adesso con l’inventario registrato da un notaio si poteva dormire sogni tranquilli: per la serie fidarsi è bene, non fidarsi è meglio.

L’inventario è pieno di tanti oggetti comuni nella vita semplice dei contadini di quell’epoca, stupisce l’antico toscano che è praticamente uguale all’italiano di oggi a parte qualche h di troppo e poco altro. Curiosi i nomi di alcune cose che oggi non conosciamo più, e quindi può essere un esercizio stimolante andarsi a ricercare questi oggetti.

San Giusto a Montalbino, 1458 luglio 27 – Caterina, vedova di Maso di Gozzo alias Pitacco, insieme all’attuale marito Nencio di Paolo di Andrea, fa redigere, come prescrive la legge, l’inventario dei beni del defunto, ereditati dai figli minori Bartolomeo e Piero e si impegna a conservarli per loro fino alla maggiore età.

In sala – Uno trepie buono; una stadera che pesa dal lato grosso libre 73, buona. Due lucerne. Uno paio di molli grandi e buoni. Una paletta buona. Una padella grande. Una padella pichola buona. Un paiuolo mezzano di libre 11 quasi che nuovo. Un paiuolo picholino di libre 5 buono. Uno piuolo grande di libre 11 e mezzo. Un bariglione d’agresto usato. Uno ramaiuolo. Uno arciuolo di rame mezzano di libre 5. Pentole, chatinelle, scodelle di terra e mezzine stimate per Barthalino di Bartholo del soprascritto popolo 1,2. Dua coltella grande e uno choltellino buono. Una chonca da bucato. 3 ghabie da chacio, dentrovi diciotto chopie di chacio. Uno mortaio, è col pestello.

In due chamerette in sulla sala. In prima – Una chassa sensa choperchio, dentrovi libre 5 di stoppa o circha. Uno petine da lino. Uno cholatoio. Una lettiera usata di braccia 5. Una choltrice di braccia 4 o circa. 2 pimacci usati. Uno panno vermiglio tristo. 26 taglieri. 120 libre di lana in cinque sachetta. Una chassa a piè del letto di braccia 3 dentrovi le infrascripte chose: 5 chamice tra grandi e mezzane, 6 lenzuola a due teli e mezzo, 15 mantiluzi da mano, 2 sciughatoi grossi in un filo, 2 chanovaci grandi da rasciugare le mani. 15 libre di lana filata in una choppa, una segiola, uno vaglio mezano, 4 pezzi di charne secha, 2 vagli grandi, l’uno da cholare e l’altro da grano, 26 libre di sacha filata a San Chasciano, 7 sacha senza quelle dove è la lana, che in tutto sono 12.

In sala dove si mangia – Una tavola di braccia 4 o circa. 2 trespoli, due panche, Ghuastade e bichieri. Uno fiacho di mezo quarto nuovo.

In chamera dove stava Maso – Una lettiera di braccia 4 e mezo, buona. Una choltrice chon due pimacci a detta lettiera, usati. Uno panno vermiglio a detto letto quasi nuovo. Una chassapancha a due serrami usata, dentrovi le infrascripte chose, prima: 2 sciughatoi usati, parecchi pezze de fanciugli, 2 chamice vechie, una grande e un pichola, 45 braccia di panno lino i’ tre pezzi, chomunale, 3 chanovacci da mano, buoni; una libra di stoppa sottile in un sachetto; 2 scodelle de maiolicha; 4 mantilluzzi tra con verghe e senza verghe; una tovaglietta di 3 braccia. Uno chassone a piè’ di letto, dentrovi le infrascripte chose, in prima: 4 lenzuola a due teli e mezo, tra buone e usate; 2 lenzuola non chucite a 3 teli l’uno; 3 fazoleti, 2 picholi e uno grande; asciughatoi sottili in uno filo; una chamicia usata da huomo; 5 chamice di mona Chaterina; una tovaglia con bambagia e con de’ chapi di buchi sottili, è bella, di braccia 6 o circa; una guardanappa di braccia 6 o circa, usata; 3 braccia di ghuarnello da donna; 4 tovagliole capitate, usate, a buchi; 3 libre d’accia sottile da sciughatoi; una chappuccia nero di Maso; 12 braccia di panno di lino un uno rotolo o circha; uno fazoletto; una chamicia di Bartolomeo taglita e non cucita; una cioppa verde de donna, usata, dice mona Chaterina fu della madre; 2 maniche di monachino aperte levò mona Chaterina dalla cioppa sua per farla a modo vedovile.

In detta chamera – Uno ghuarnello di mona Chaterina, cholle maniche nere. Una ghamurra rossa cholle maniche nere usata. Uno quarto braccio di panno paghonazo. Uno sciughatoio chon verghe, di due braccia, largho. Una cioppa monachina di mona Chaterina. 43 bugnole dentrovi staia 48 di grano. Uno chaperone di Maso. Una cioppa di mona Chaterina romagniuola. Una madia trista. Una mezina da vino, dentrovi uno barile e mezo d’olio. 2 stacci. Uno ghuanciale di piuma. Uno ghuanciale di ghuarnello con federa lavorata e con nappe. Uno ghonelino di Maso romagniuolo.

Nella cella – 4 bighonci overo tinegli chomunagli. Una tavola da mangiare di braccia 6 o circa. 8 boti tra grandi e picholi di tenuta di barigli 48 o circa. Uno staio di ferro. Du’ barlette di vino usate. 3 marre grandi. 5 marrette. Una falcie fienaia fornita. Una sega mezana buona. 2 asci. Una schuffina. 3 pennati. Uno paio di barigli da olio. 5 falci. Uno giocho cho’ la chatena e chapezale. 2 bonberi usati. 2 vanghe e una pala. 3 scure, una grande e due pichole. 2 pale. 3 choregiati da aia. 2 suchiegli, uno grande e uno mezzano. 7 staia e mezzo di spelda. 8 staia tra orzo e scandella. 6 choppi, dentrovi 4 barili d’olio incirca. 2 paia di funi da soma. Una asina da someggiare, 26 pechore.

Il sor Nello, l’artista di Montalbino

Anche Montalbino nella sua piccola storia ha avuto un suo artista. Non gli ha dato i natali, ma lo ha adottato. Nello Noti nasce il 26 dicembre 1875 a Pistoia, figlio di Edvige Gucci (1852-1929) e di padre ignoto. I primi anni della sua vita li passò all’orfanotrofio di Pistoia dove gli assegnarono un cognome d’ufficio. Poi, ad un certo punto, la madre lo riprese con se e insieme vennero ad abitare a Montalbino, o forse all’inizio a Montespertoli, comunque lei fu assunta come domestica di don Bernardino Cigheri. Tra il 1900 e il 1901 il Cigheri venne ad abitare a Montalbino al podere la Rocca che era di sua proprietà. Infatti don Cigheri, Edvige e Nello appaiono per la prima volta nello Stato d’Anime della parrocchia di Montalbino nel 1901. Il Cigheri possedeva la Rocca già da qualche anno, ma ci andò a vivere in quel periodo. Però non erano soli, con loro c’era un altro prete, don Antonio Soldà.

Don Cigheri lo abbiamo già incontrato in un altro articolo che ho scritto a proprosito del Consorzio per la strada Colle Montalbino, che prendeva il nome della via dove tra gli altri si trovava il podere la Rocca. Ma come mai questi due preti non avevano assegnata una parrocchia? Non lo sappiamo e quindi possiamo fare solo supposizioni. Forse la motivazione più plausibile è che i due preti avessero idee moderniste e ciò era sufficiente all’epoca per negare loro sia la cura delle anime che un impiego in un ufficio curiale. Il popolino montalbinese, che manco sapeva cosa fosse il modernismo, congetturava motivazioni più terra terra, come fatti incresciosi, peccati carnali. La vulgata più comune era che don Cigheri fosse stato il padre di Nello Noti, e questa supposizione tra la gente ebbe motivo di conferma quando alla sua morte il Cigheri lasciò erede dei suoi beni proprio il Noti. Ma forse semplicemente il Cigheri fu solo un benefattore verso i suoi servitori. Comunque sia la gente li definivano – don Cigheri e don Soldà – preti scagnozzi: era questo il termine che davano a quei sacerdoti che per qualche grave motivo gli veniva negata la normale attività sacerdotale. Si racconta che i due avessero allestito un altare provvisorio su un ballatoio delle scale e lì dicessero messa. Inoltre al podere la Rocca il Cigheri aveva allestito anche un frantoio dove i contadini del posto andavano a frangere le olive.

Questo era l’ambiente in cui visse Nello Noti, già valente pittore quando arrivò alla Rocca avendo studiato alla scuola di pittura di Pistoia. Era il suo uno stile vicino a quello dei Macchiaioli e vi si denota nell’osservare i suoi dipinti un carattere sensibile e delicato. I vecchi si ricordavano di lui e in ogni famiglia contadina si custodiva un anneddoto  legato al sor Nello (così veniva chiamato dalle persone) e una descrizione univoca del suo carattere gentile e buono. Lo si incotrava lungo la Pesciola o appostato dietro a qualche curva con la sua attrezzatura da lavoro. Le famiglie, oltre che aneddoti, sovente custodivano un suo schizzo fatto a matita a qualcuno di loro, o addirittura un dipinto vero e proprio. Purtroppo la maggior parte dei suoi lavori sono andati perduti non avendo molte famiglie contadine avuto il riguardo di conservare questi lavori tra un trasloco e l’altro.

Comunque era un’artista polivalente, sia nello stile che nell’arte. All’occorrenza poteva cimentarsi in uno stile più classico, oppure eseguire piccole pitture murarie come nei tabernacoli; suoi sono i disegni delle vetrate e dell’occhio della chiesa di San Giusto a Montalbino che furono realizzati nell’ambito del restauro del 1940. Non disdegnava l’argilla e neppure l’intarsio del legno, e, per quanto riguarda questa ultima arte, suoi sono le ante del portone di accesso dell’ospizio dei vecchi di Montespertoli e inoltre isitutì una piccola scuola d’intaglio che ebbe qualche allievo tra i ragazzi che desideravano imparare la lavorazione del legno.

La madre Edvige, vissuta sempre con il senso di colpa per aver concepito un figlio fuori dal matrimonio, quando morì espresse il desiderio di essere sepolta al cimitero di Mensoli davanti al cancelletto d’ingresso, quindi senza una lapide, ma in un punto di passo affinché tutti potessero calpestarla.

La morte della madre fu un duro colpo: i due preti scagnozzi erano già morti da tempo e lui non aveva creato una nuova famiglia. Rimase solo mantenendo comuque il suo animo generoso e paziente nei confronti dei contadini. Dopo il passaggio del fronte ebbe un rapido declino. Pare che abbia sofferto del Morbo di Parkinson che gli impedì prima di continuare nella sua arte e poi a muoversi. Si spense l’11 aprile 1946 assistito dai Nencioni, la sua famiglia contadina. Fu sepolto nel cimitero di Mensoli e sulla lapide troviamo scritto: La croce che amò nella sua vita, che esaltò nella sua arte, che baciò nella sua morte, nella sua tomba luminoso segno di redenzione volle. Nonostante non abbia creato una famiglia e non abbia avuto parenti, ancora oggi, di tanto in tanto, qualcuno sulla sua tomba vi depone dei fiori.

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Nello Noti – Sosta di cacciatori a Montalbino (foto concessa da L. Nencioni)

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Nello Noti – Ritratto di Edvige Gucci, la madre di sor Nello (proprità di Renata Lotti; foto di D. Baragatti)

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Nello Noti – La madre (proprietà dello scrivente)

Una lettura del trittico di Montalbino

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In un precedente articolo avevo già parlato del trittico che era conservato nella chiesa di San Giusto a Montalbino e che oggi si trova nel Museo di Arte Sacra di Montespertoli. Il trittico realizzato da Cenni di Francesco di Ser Cenni è datato 1400 e reca il nome del committente Bicci d’Andrea. La particolarità di questa opera riguarda il fatto che è arrivata ai giorni nostri in ottime condizioni, addirittura con la sua cornice dorata originale. E insieme alla cornice anche la predella, cioè la base del trittico.

Se nei tre scomparti principali troviamo al centro la Madonna che allatta il Bambino e ai lati da una parte Santa Lucia e dall’altra San Giusto, anche nella predella, come da tradizione, troviamo delle raffigurazioni. Sono dei piccoli “quadretti” polilobati in stile goticheggiante come lo è tutto il trittico. Cinque immagini con al centro il Cristo in pietà e ai lati, a sinistra Sant’Antonio Abate e San Lorenzo, a destra un santo vescovo e Santa Caterina d’Alessandria.

Le immagini di questa predella possono essere fonti di riflessioni al riguardo la storia di questo piccolo villaggio. Sappiamo che i santi raffigurati su una pala non sono mai messi lì per caso, ma dietro alla scelta di raffigurarli c’è sempre una motivazione. Quindi analizziamo queste immagini della predella.

Sant’Antonio Abate

Questo è il santo patrono degli animali e negli ambienti rurali come Montalbino era molto venerato. Tutti avevano degli animali, non solo i pastori che li allevavano, ma anche i contadini stessi possedevano animali da soma o da tiro necessari per i lavori nei campi. Per non parlare poi degli animali da cortile utilizzati per l’alimentazione. Quindi era importante che questi indispensabili creature non si ammalassero: perdere per un incidente il bove o l’asino era una sciagura enorme per la famiglia contadina. Quindi le immagini di Sant’Antonio Abate nelle campagne spuntavano un po’ ovunque sia nei tabernacoli lungo le strade o nelle chiese, e se queste chiese anche se non erano dedicate a Sant’Antonio comunque un altare laterale (dopo la Riforma) o un’immaginetta in un trittico (prima della Riforma come in questo esempio di Montalbino) erano dedicate a questo santo raffigurato con la veste da monaco, la lunga barba e il bastone che si conclude a forma di croce a tau.

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San Lorenzo

E’ un santo diacono martire. Dovrebbe tenere in mano la palma del martirio ma in questo caso, per motivi di spazio, Cenni di Francesco omette questo attributo, ma comunque lo rende riconoscibile grazie alla dalmatica che indossa, veste tipica del diacono, il libro del Vangelo in una mano, questo perchè il diacono è colui che nella messa legge o canta il vangelo, e la graticola nell’altra mano, lo strumento del suo martirio. Anch’egli era un santo molto popolare da queste parti, ma la sua presenza nel trittico della chiesa di San Giusto a Montalbino pare voglia richiamare l’altra chiesa, quella della parrocchia confinante, San Lorenzo a Montalbino. La domanda che ci si pone è: come mai anche San Lorenzo (e anche San Giorgio) è denominato “a Montalbino” quando Montalbino era solamente il castello dove sorgeva al suo interno la chiesa di San Giusto. La risposta potrebbe essere che il castellano di Montalbino, presumibilmente il committente del trittico, Bicci, figlio di Andrea, fosse proprietario terriero anche nelle zone intorno alla chiesa di San Lorenzo (e di San Giorgio) e quindi per questo motivo tutto il territorio venisse chiamato Montalbino. E’ da considerare allora che anche la chiesa di San Lorenzo rientrasse tra i suoi patronati. Inserendo l’immagine di San Lorenzo nel trittico il committente potrebbe aver reso omaggio all’altra “sua” chiesa.

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Il Cristo in pietà

L’immagine centrale ovviamente è dedicata a Cristo e nella fattispecie nell’iconografia della pietà che indica la missione salvifica del Redentore che ha dato la vita per la salvezza degli uomini. Essendo quello centrale, oltre per motivi di importanza, lo colloca in asse con l’immagine della pala centrale dove Gesù è raffigurato bambino mentre si allatta al seno della Madonna e con l’immagine sulla cuspide del Dio Padre.

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Un santo vescovo

Questo è il personaggio più misterioso del trittico. Di questo santo vescovo non possiamo dire niente perchè non sappiamo chi sia. Si potrebbe pensare a San Giusto, ma già occupa per intero lo scomparto di destra, quindi pare strano una ripetizione.

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Santa Caterina d’Alessandria

Questa santa martire è riconoscibile per la ruota che tiene in una mano simbolo del supplizio che subì trovando la morte per volontà dell’imperatore romano proprio su una ruota dentata. Ebbene, cosa ci fa Santa Caterina d’Alessandria nel trittico di Montalbino? Ella è la patrona dei giuristi e questo potrebbe alludere al mestiere del committente: il Bicci di Andrea, castellano di Montalbino, poteva essere una persona che aveva studiato legge ed era quindi non era solo un proprietario terriero, ma uno che esercitava una professione. Ricordo che un documento del 1348 attesta che in quell’anno a Montalbino viveva e lavorava un notaio che si chiamava Nuccio, “ser Nuccio”, figlio del fu Mazza. Una semplice ipotesi che si potrebbe fare è che Bicci, figlio di Andrea, fosse della solita famiglia di ser Nuccio, che cinquanta anni prima della realizzazione del trittico esercitava la professione notarile a Montalbino. Si potrebbe ipotizzare che il mestiere di notaio, da ascrivere alla sfera delle attività giuridiche, in famiglia lo si tramandava di padre in figlio (cosa che si faceva) e che allora il figlio di Nuccio potrebbe essere stato Andrea, a sua volta padre di Bicci. Si tratta solamente di una speculazione fantasiosa, ma la presenza di Santa Caterina d’Alessandria nel trittico della chiesa di Montalbino potrebbe portare a questa semplice ricostruzione.

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Ma per concludere la speculazione fantasiosa aggiungo come nota a margine la presenza di Santa Lucia che occupa lo scomparto alla destra della Vergine. Santa Lucia è patrona della vista ed è la santa che viene pregata da coloro che hanno problemi alla vista o si ritrova cieca. Può darsi quindi che il castellano di Montalbino, proprietario delle terre che arrivavano fino a San Lorenzo, di professione notaio, o comunque un giurista, Bicci, figlio di Andrea, a sua volta forse figlio di Nuccio, figlio di Mazza, avesse problemi alla vista, temesse di diventare cieco, e perciò decidesse come voto di realizzare questo trittico che fu eseguito dal pittore Cenni di Francesco di ser Cenni nell’anno 1400.

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Il prete novo a San Lorenzo [2/2]

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Don Aldo Poggioli, nominato curato di San Lorenzo a Montalbino, arriva nella sua nuova parrocchia la sera del 17 febbraio 1945 accolto dai doppi delle campane così come ci ha descritto sul cronacario con il suo ultimo intervento don Angiolo Livi. Il giorno dopo avviene la presentazione ufficiale davanti al popolo in chiesa seguita dalla prima messa a San Lorenzo di don Aldo. Alla fine della giornata il neo-parroco scrive le sue prime pagine sul cronacario parrocchiale. Da subito si capisce la personalità di questo prete, o forse meglio, la mentalità: sicuramente una visione che all’epoca era molto più radicata di adesso che riguardava il ruolo che il parroco ha nei confronti del “suo” popolo. La prima parte del suo intervanto è un’introduzione in cui raccoglie la scherzosa definizione vernacolesca del “prete novo”.

18 febbraio 1945

Seguendo la voce di Dio negli ordini dei superiori con animo sereno e con cuore lieto, ho accettato di essere il “prete novo” di San Lorenzo, momentaneamente vicario ed in un prossimo futuro Priore. Con animo sereno perchè so di fare l’obbedienza dei superiori; io non l’ho chiesta questa destinazione (già non la conoscevo affatto questa località), né l’ho voluta rifiutare, anzi neppure son rimasto indeciso, né ho infrapposto degli ostacoli. Con cuore lieto, perchè da 12 anni manca il Parroco. Quindi immagino di trovarvi più amore, più attaccamento al Parroco; quindi non siamo obbligati a seguire l’opera già incominciata da un altro: ora si comincia a costruire “ex novo”.

Che il Signore nella sua infinita misericordia mi conceda l’aiuto della sua grazia, affinché sia un vero apostolo della Chiesa, un confessore, un martire della fede, che compia tutto quel bene che in riparazione del male commesso, al bene omesso, a santificazione dell’anima mia e a salvezza di tutti i miei popolani.

Quindi don Aldo Poggioli comincia a descrivere gli eventi della giornata.

Al mattino per tempo accompagnato dall’ex Vicario Priore di Montalbino, il nuovo Priore (lo è in potenza se non di fatto e quindi lo chiameremo così) si reca alla sua chiesa.

Prende le consegne di tutto ciò che riguarda la Parrocchia; inizia il suo ministero parrocchiale attendendo alle confessioni per circa un’oretta, e ciò gli è di grande consolazione. Giunta l’ora della S.Messa si canta “Veri Creatur Spiritus”, perchè lo spirito divino illumini, guidi, sostenga il nuovo parroco nel suo apostolato. Il Sig. Priore di Montalbino fa la presentazione illustrando la dignità del Sacerdote e facendo rilevare quanta grande ricchezza sia per un popolo avere il Parroco: è necessario però seguire la sua voce e i suoi insegnamenti. Termina con queste parole, che rimangono impresse al nuovo Parroco: “Su 119 anni due soli sacerdoti hanno retto la chiesa di San Lorenzo, uno 59 e l’altro 60; il che vuol dire che non ci si sta poi tanto male.” E’ un augurio o un ammonimento?

Il Priore di Montalbino che fa la presentazione è ovviamente don Livi. Molto ironica la battuta finale: a San Lorenzo ci si stà così bene che i preti che arrivano non se ne vanno via più. Ma sembra anche una sorta di condanna. Don Livi si riferiva a due curati che si sono succeduti a San Lorenzo: don Luigi Corvacci dal 1807 al 1866 e don Ottaviano Chiti dal 1866 al 1926. Quindi ben 119 anni con due soli parroci. Poi don Poggioli continua la pagina del cronacario riassumendo l’omelia che ha tenuto e che si è riferito sul rapporto tra il pastore e il suo gregge, quindi tra il parroco e i parrocchiani. Ovviamente in un contesto rurale come quello di Montalbino i paragoni agresti calzano bene per farsi intendere da queste persone semplici, anche per il fatto che tradizionalmente la Chiesa ha da sempre usato questo tipo di paragoni.

Quindi il Priore si veste all’altare per la celebrazione della Santa Messa. Al Vangelo per la prima volta si rivolge al popolo suo. Fa come una parafrasi della parabola del Buon Pastore. Le pecorelle prive del Pastore son soggette agli assalti del lupo: Un popolo privo del sacerdote è soggetto agli assalti del demonio. Il pastore ha cura delle sue pecorelle, le ama, le guida al pascolo, per loro da la sua vita: Cristo ha dato la sua vita per la salvezza degli uomini, il sacerdote “altro Cristo”, deve dare la sua vita tutta per il suo popolo (e ciò che desidera e chiede al Signore per sè il nuovo Parroco); il Pastore conosce le sue pecorelle, esse conoscono lui e ascoltano la sua voce: il sign. Priore vuol conoscere quanto prima tutti i suoi popolani, si porterà alle loro case: da loro si farà conoscere e si formerà una bella famiglia.

Ci sono altre pecore che non appartengono a questo ovile; è necessario richiamare anche quelle per formare un solo ovile con un solo Pastore; se si fossero nella parrocchia delle anime che si sono smarrite, il sign. Priore non si darà pace finché non le abbia riportate nella sua famiglia. E così nell’amore fra Parroco e parrocchiani, nella vera concordia dei parrocchiani fra loro, nella fusione di tutti i cuori in uno solo, di tutte le anime in uno solo, si formerà di tutto il popolo un solo ovile sotto la guida di un solo Pastore. Termina con parole di riconoscenza e ringraziamento all’ex-Vicario Sig. Priore di Montalbino don Angelo Livi.

Quindi si è trattato di una omelia programmatica: don Poggioli ha fatto ben capire quanto zelo infonderà nel suo ministero e di quali siano i rapporti che intercorreranno tra lui e i fedeli. Senza il sacerdote i fedeli rischiano gli attacchi del demonio, quindi lui è arrivato per salvarli e i parrocchiani devono sentirsi riconoscenti al Signore di avere finalmente concesso un prete tutto per loro che farà della parrocchia un’unica famiglia. Quindi passiamo alla parte conclusiva del suo primo intervento sul cronacario parrocchiale.

Nel pomeriggio Vespri solenni. Il Priore rivolge ancora due parole al popolo, fra l’altro dice di avere di sua proprietà un armonium, a lui piace tanto il canto e conosce anche un po’ di musica; così quanto prima la nostra chiesa risuonerà di suoni e canti. Il popolo accoglie con manifesti segni di contentezza queste parole. Si canta quindi il “Te deum” per ringraziare il Signore del grande beneficio di aver finalmente il “prete novo”.

Da aggiungere una nota finale: don Poggioli, talmente sicuro di passare se non il resto della sua vita comunque diversi anni, già con una certa sicumera si era autoproclamato Priore prima ancora che l’Arcivescovo gli conferisse tale titolo: infatti in un primo periodo i parroci avevano sempre il titolo di Vicario, ma come scrive all’inizo don Poggioli in potenza lo era già Priore e quindi aveva deciso di definirsi così nel cronacario. Ma come dice il proverbio: “non dire quattro finché la noce non è nel sacco!” Infatti don Aldo Poggioli non riceverà mai il titolo di Priore di San Lorenzo a Montalbino perchè dopo soli sei mesi verrà trasferito in una nuova sede. Qui a San Lorenzo fu per lui solo una piccola parentesi della sua vita.

Il prete novo a San Lorenzo [1/2]

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Inutile ribadire che in queste piccole comunità di campagna l’esistenza di questi contadini era scandita dai ritmi della Chiesa, e la piccola chiesetta parrocchiale era il fulcro della loro vita. Il parroco rivestiva un ruolo molto importante ed era una sorta di capo-popolo. In tempi e luoghi in cui le cerimonie religiose erano l’unica “distrazione” in una vita monotona fatta di fatica sui campi era un vero e proprio scorno ritrovarsi a vivere in una parrocchia che non aveva il parroco. Capitava infatti che una determinata chiesa rimanesse per alcuni anni sede vacante. In tal caso ad officiare la messa veniva il prete della parrocchia vicina, denominato Vicario Economo, ma la vita di parrocchia era ridotta ai minimi termini. Andava da se il discorso che il prete innanzitutto si prendeva cura della sua parrocchia di residenza, mentre quella a cui gli era assegnato provvisoriamente come vicaria non vi potesse profondere molte energie visto che era distante da casa sua. In queste parrocchie vacanti il vicario vi andava per dire messa, fare la dottrina ai bambini, ed amministrare i sacramenti: insomma, il minimo sindacabile. Le feste solenni, le processioni, le rogazioni erano sospesi in attesa di un nuovo prete che vi venisse ad abitare. Per godere di questi eventi religiosi i fedeli della parrocchia vacante dovevano andare nelle chiese confinanti dove però facevano solo da spettatori e non avevano preso parte attiva all’organizzazione.

Inoltre debbo specificare a scanso di equivoci che questi eventi religiosi non erano solo mere “distrazioni”, ma per questi contadini che avevano una fede molto radicata costituivano eventi emotivamente pregnanti di significati, e che più se ne organizzavano più si rendeva gloria a Dio e quindi ci si sentiva anche più protetti. Certo, poi c’era anche l’aspetto ludico, dopo la grande festa religiosa spesso venivano organizzati musiche e balli. Quindi una parrocchia senza un parroco era un gran mortorio.

Per la piccola parrocchia di campagnia di San Lorenzo a Montalbino, che non aveva un nucleo abitativo ma era composta da case coloniche sparse sulla collina, la figura del prete ricopriva un ruolo di aggregante della comunità. Senza il prete poteva capitare che nei giorni delle grandi feste religiose i contadini del podere della Palazzina andassero alla chiesa di San Giusto a Montalbino, ma quelli del podere la Selva, all’estremità opposta, tornasse più pratico andare alla chiesa di San Bartolomeo a Tresanti, mentre quelli del podere Pesciola alla pieve di San Pietro in Mercato. San Lorenzo rimase per molti anni in questa situazione di provvisorietà. Infatti nell’agosto del 1933 se n’era andato via don Corrado Fortini che era stato parroco di San Lorenzo per cinque anni. Dal quel momento si erano succeduti una serie di vicari che venivano da Montespertoli: don Rigoletto Vannucci, don Dino Lastrucci e don Ivo Biondi. Per loro era veramente scomodo recarsi a San Lorenzo a Montalbino e per quattro anni la cura di queste anime fu molto tralasciata. Poi nel 1937 venne come vicario don Angiolo Livi, neo-parroco di San Giusto a Montalbino. Per il Livi fu sicuramente più facile poter seguire i fedeli di San Lorenzo, ma essi ancora anelavano ad avere un prete tutto per loro.

Il 13 aprile 1944 era venuto a San Lorenzo l’Arcivescovo di Firenze, il Cardinale Elia della Costa, a fare una visita pastorale. Nonostante i venti di guerra il venerato prelato non aveva rinunciato ai suoi doveri. In tale occasione aveva promesso ai montalbinesi di San Lorenzo un nuovo parroco che sarebbe arrivato presto. Figurarsi la gioia dei fedeli per tale annuncio, ma il successivo passaggio del fronte aveva fatto riperdere le speranze: ovviamente c’erano adesso altre emergenze e molto probabilmente il prete di San Lorenzo non era più una priorità nei pensieri della curia fiorentina. Ma a gran sorpresa, alla fine del quel turbolento anno fu annunciato l’arrivo del nuovo prete. Fu don Angiolo Livi, Vicario Economo, ad annunciarlo ad un popolo esterrefatto. Ecco come descrive il momento:

17 dicembre 1944

S.E. il Caridnale Arvicescovo ha mantenuto la parola. Ecco che oggi, terminata la Santa messa, il Vicario Economo ha annunziato al popolo che il Cardinale ha pensato anche a San Lorenzo che fra breve manderà il parroco nella persona di Don Aldo Poggioli. Il popolo che ormai non si aspettava più questo è rimasto sorpreso e ha dimostrato il suo giubilo. Era un cosa giusta che anche San Lorenzo avesse il suo parroco dopo dodici anni di vacanza. E perciò i ragazzi si sono buttati a suonare i doppi di esultanza, strappando le funi alle campane, mentre Vicario e popolo hanno cantato il te deum.

Da queste righe trapela tutta la gioia di queste persone: addirittura spontaneamente si va a suonare le campane a festa e si canta il te deum. Si può quindi capire l’importanza che ricopriva tale evento.

In data primo gennaio 1945 don Livi scrive sul cronacario che conclusa la messa ha ufficialmente salutato il popolo di San Lorenzo con frasi di circostanza che hanno commosso i buoni contadini dicendo inoltre che comunque rimaneva priore a Montalbino e chiunque di loro avesse voluto venire a trovarlo sarebbe stato ben lieto della visita. Doveva essere questo se non l’ultimo intervento sul cronacario almeno l’ultima messa di don Livi a San Lorenzo, ma come accade spesso le cose non vanno mai come si pensa. In data 6 gennaio 1945 don Livi scrive ancora sul cronacario:

Oggi ci aspettavamo la prima messa del “prete novo” che doveva venire a San Lorenzo accompagnato dal “prete vecchio”. Invece non è potuto venire. Don Poggioli si trova a Castiglioni come aiuto a quel parroco che è malato. Dovrà lasciare Castiglioni per venire a San Lorenzo, ma verrà soltanto quando un altro sacerdote sarà giunto a sostituirlo. Ora questo sostituto doveva già esser giunto, ma non si è visto. Quindi don Poggioli non è potuto venire.

Il virgolettato ci indica come venisse apostrofato dalla gente don Poggioli: il prete novo, detto in vernacolo. Possiamo immaginare la trepidante attesa che i sanlorenzini dovettero subire fino alla metà di febbraio, tanto fu il ritardo accumulato per l’ingresso di don Poggioli.

Alla fine arrivò ed ecco veramente l’ultima annotazione di don Angiolo Livi sul cronacario di San Lorenzo a Montalbino.

17 febbraio 1945

Per sapere l’arrivo del “prete novo” il popolo aspettava tutti i sabati sera il doppio anche alle ventitré. Ma aspetta aspetta questo doppio non si sentiva mai. Finalmente stasera non un doppio solo, ma tanti doppi hanno annunziato che il “prete novo” è giunto e domattina dirà la sua prima messa. Infatti ci sarà il “Veni Creatur” poi dirà parole di presentazione il vicario uscente, quindi celebrerà don Poggioli.

Con la gionata d’oggi termina la cura pastorale di don Livi nel popolo si S. Lorenzo. Per il bene che è stato fatto sia ringraziato Iddio, per le molti omissioni sia benigna la Giustizia e grande la Misericordia del Signore!