Il Paretaio e la Palazzina

paretaio 1

Un luogo, anzi, un microtoponimo ben conosciuto dagli abitanti di Montalbino è il “Paretaio”. Si trova nei pressi della ex-cappella di Santa Maria a Mensoli, sulla sommità di un piccolo poggio. Questo paretaio è ancora ben conservato nella sua forma d’insieme: è un caratteristico boschetto a forma circolare che lo rende ben visibile anche da lontano.

Già in un vecchio post avevo parlato dei pareatai e a cosa servissero. Ripeto brevemente che erano luoghi artefatti costituiti da un boschetto con dei posatoi, una capanna in cui il cacciatore si nascondeva e delle reti tirati su a guisa di pareti (da qui il nome) collegati con delle corde che partivano dalla capanna ove il cacciatore tirandole richiudeva le reti intrappolando gli uccelletti. Questo metodo di caccia veniva denominato, almeno da queste parti, con il termine “uccellare”.

A differenza del paretaio che si trovava nei pressi del podere “Poderaccio”, o come si chiamava una volta il “Palazzaccio”, che ho descritto l’altra volta, in cui è conservato il capanno in muratura del cacciatore e sono scomparse le piante, in questo paretaio presso la cappella di Mensoli invece sono conservate le piante, ma è sparito il capanno del cacciatore che probabilmente non era in muratura ma fabbricato in legno.

Nonostante la prossimità alla cappella il Paretaio non era all’interno del podere di Mensoli, che era il podere di proprietà pro tempore del parroco di San Giusto a Montalbino, ma per pochi metri era nel podere della “Palazzina”, facente quindi parte del popolo di San Lorenzo a Montalbino. Il podere Palazzina prende il nome dalla casa colonica che si trova nei pressi del paretaio, anch’essa su un punto panoramico. Questa casa colonica fu ristrutturata all’inizio del ‘900 e ne uscì così bella che la gente del posto incominciò a chiamarla Palazzina soppiantando il vecchio nome “il Poggio”.

Ebbene, il vecchio podere il Poggio ha la sua storia da raccontare.

In origine questo podere era un tuttuno con quello confinante di Mensoli e con altre particelle di campi coltivati e di boschi. Era quindi inglobato in un ampia proprietà appartenuta alla famiglia fiorentina de’ Rossi di cui ho già parlato in precedenza. Senza ripetermi accenno che con un atto testamentario del 1498 i de’ Rossi cedono queste terre di Montalbino sia alle monache di Santa Felicita di Firenze (i due terzi) sia al capitolo della Pieve di San Pietro in Mercato presso Montespertoli (un terzo). Questi due enti furono in un primo tempo compropietari e solo in un secondo tempo stabilirono di spezzare l’antica proprietà in due, con confini ben precisi. La cappella di Mensoli con le terre circostanti andarono al pievano di San Pietro in Mercato.

podere il Poggio

Questo podere di Mensoli fu poi ulteriormente diviso in due dal pievano per venderne una parte alla famiglia Galli di Firenze. Si tratta della parte sulla sommità del poggio e che in futuro verrà chiamato appunto “Podere il Poggio”. Ma ancora non aveva questo nome. Siamo nella prima decade del ‘600 e questo acquisto che fece la famiglia Galli fu il primo di una lunga serie che verrano effettuati nel territorio montespertolese. I Galli, che da lì a poco acquisteranno il titolo nobiliare di Conte, diventeranno i maggiori proprietario terrieri di Montespertoli ed acquisteranno anche il castello presso il capoluogo, castello che era appartenuto ai Machiavelli e che diventerà quindi il Castello dei Galli, poi diventato per l’accorpamento delle famiglie il Castello dei Galli-Tassi, e infine, dopo la vendita di tutte le proprietà al padre del famoso Barone Sydney Sonnino, verrà conosciuto, come tuttora, con il nome di Castello di Sonnino. E così questa vastissima proprietà, la maggiore del territorio comunale e che quindi ne è stata protagonista nella storia di Montespetoli, non ha avuto origine come si potrebbe pensare dal nucleo centrale costituito dal castello nei pressi del capoluogo, ma ha avuto origine da una zona decentrata, da questo podere nei pressi di Montalbino.

Ma andiamo per ordine. In un decimario che si trova alla pieve di San Pietro in Mercato del 1587, redatto dal pievano Orazio Corsi, quindi antecedente all’acquisto del podere da parte dei Galli, troviamo un elenco di tutti i popoli che compongono il piviere e che quindi gli erano tributari dovendo pagare la “decima”, e per oguno di essi il Corsi fa l’elenco dei poderi di cui i popoli sono costituiti. Ebbene, nel 1587 il podere di Mensoli non appare nell’elenco dei poderi del popolo di San Giusto a Montalbino e nemmeno in quello del popolo di San Lorenzo a Montalbino. Questo probabilmente perchè nel decimario venivano elencati tutti quei poderi soggetti al pagamento della decima alla Chiesa, ma essendo il podere di Mensoli di porprietà diretta della Chiesa l’intero suo ammontare andava al prete e non una decima parte.

Palazzina 1

Un altro decimario che si trova nell’archivio della pieve di San Pietro in Mercato, è del 1700 e il pievano che lo redasse fu Francesco Ciferi. A questa data i Galli avevano fatto l’acquisto da circa 90 anni e troviamo infatti nell’elenco dei poderi del popolo di San Lorenzo a Montalbino il “podere luogo detto Mensoli” che sappiamo era la metà dell’originario podere, quello sulla sommità del poggio. L’altra metà, quella intorno alla cappella, nel 1700 era ancora di proprietà della pieve e lo deduciamo dal fatto che ancora non appare nell’elenco dei poderi del popolo di San Giusto. Abbiamo prova certa che questo podere fu ceduto dal pievano al parroco di San Giusto a Montalbino da lì a pochi anni grazie ad uno stralcio di cronacario parrocchiale di Montalbino che ho trovato nell’archivio storico diocesano di Firenze che ho gia menzionato: il curato Giovanni Candido Borghetti parla di una vicenda dovuta a certa legna tagliata. E’ un documento del 1707, quindi in questo anno la porzione del podere di Mensoli era già di poprietà pro tempore del curato di San Giusto a Montalbino. Poi, nel 1770, un altro curato di Montalbino, don Pietro Chiti farà una descrizione accurata di questa proprietà definendola “annesso di Mensoli.”

Quindi si potrebbe dedurre che una volta i preti di San Giusto a Montalbino divennero proprietari della cappella abbiano voluto dare il nome del podere annesso con quello della cappella stessa, Mensoli, e allora il Conte Galli, per evitare un nome doppione mutò quello del suo podere in un semplice “Poggio”, e infatti dallo stato d’anime della parrocchia di San Lorenzo a Montalbino che inizia nel 1766 troviamo che il curato Piermaria Bigazzi chiama questo podere “il Poggio”.

E arriviamo alla parte conclusiva di questa microstoria ritornando al nostro paretaio. Sulla mappa catastale leopoldina del 1821 troviamo il nostro podere con la casa colonica denominata curiosamente “Villa del Poggio”. Avendola chiamata villa farebbe pensare che oltre all’abitazione del contadino mezzadro ci fosse stato all’epoca anche un appartamento ad uso del proprietario e cioè che il Conte Galli ci potesse andare a villeggiare. Che lo usasse come luogo base per le battute di caccia? Può darsi. E curioso inoltre constatare che sulla carta catastale il paretaio nel 1821 ancora non esisteva. Eppure in questa mappa vengono segnalati i paretai e ne appaiono anche diversi nei dintorni di Montalbino. Quindi il nostro paretaio fu realizzato dopo il 1821, e fu fatto presso la “Villa del Poggio” innanzitutto perchè era un luogo favorevole per fare un paretaio che altro non è che un posatoio per uccelli migratori, e poi forse perchè presso la casa colonica c’era già un appartamento padronale ed era quindi logisticamente adatto per il Conte Galli: probabile andasse ad uccellare di prima mattina e quindi egli si recava la sera avanti, pernottava nell’appartmento ed era già pronto e sul posto la mattina seguente.

Come ho già detto altre volte queste ricostruzioni di microstoria sono frutto di deduzioni che si appoggiano su alcuni documenti, però la scoperta di nuovi documenti potrebbero dare nuova luce e magari cambiare qualche carta in tavola. Vedremo in futuro. Intanto godiamoci il paretaio così come appare oggi, un luogo panoramico molto bello dove lo sguardo pare spaziare per mezza Toscana.

Paretaio 2

Il problema della Fonte di Mensoli — seconda parte

DSCF4480

Un altro documento che ci parla delle vicissitudini della fonte di Mensoli, unica risorsa idrica per gli abitanti di Montalbino, è custodito nell’archivio parrocchiale. Lo si può considerare come il continuo della vicenda descritta nel post precedente. Nel 1923 i montalbinesi avevano inviato una lettera all’Amministrazione Comunale chiedendo, quasi supplicando, di porre rimedio alla diminuzione della portata della fonte di Mensoli con la realizzazione di una cisterna con cannella e anche un vivaio. Avevamo accennato al fatto che purtroppo i montalbinesi non godevano dell’appoggio di un potere forte che potesse perorare le loro cause presso l’Amministrazione, e infatti anche in tal caso la lettera rimase senza risposta.

Sono passati nove anni e niente è stato fatto. All’archivio parrocchiale è conservato una lettera datata 2 aprile 1932 spedita dalla Curia e firmata dall’Arcivescovo Elia della Costa. Egli si rivolge a Don Elia Fortini, Priore di San Lorenzo a Montalbino, che in quegli anni era anche Vicario per San Giusto a Montalbino in quanto mancava da anni il parroco in questa chiesa. L’arcivescovo scrive:

Molto Rev. Signore,

Questa Curia non ha potuto ancora esprimersi sulla domanda per la sorgente in quel di Mensole, perchè è tuttora in attesa da parte del Comune di Montespertoli della risposta alla lettera inviata da questo Ufficio Amministrativo in data 7/4/31 a codesto On. Podestà.

Voglia ella sollecitare e la pratica avrà corso quanto prima.

Firmato Con ogni ossequio Dev.mo Elia Arcivescovo.

Insomma, trovandosi la fonte di Mensole nella proprietà della Chiesa gli abitanti hanno pensato anche di sollecitare il prete e questi lo aveva fatto presente in Curia. A sua volta la Curia aveva mandato una lettera al Podestà di Montespertoli, ma la risposta non arriva. Dopo l’ennesima richiesta di una risposta di Don Fortini alla Curia, la Curia risponde al Vicario che a sua volta sta aspettando una risposta dal Podestà di Montespertoli da ormai un anno. Sembra proprio che da parte dell’Amminstrazione ci sia addirittura dell’ostracismo nei confronti dei montalbinesi. Del resto da secoli i lavori di miglioramento eseguiti dalla podesteria nel suo territorio sono stati sollecitati sempre dai grandi signori proprietari terrieri, che dalla riforma leopoldina della seconda metà del ‘700 siedono anche nel Consiglio Comunale. Se ci sono soldi da investire questi gran signori pensano bene di dirottarli nei dintorni delle loro proprietà. A Montalbino non ci sono gran signori, i poderi sono in mano a proprietari diversi, alcuni di essi sono importanti, due poderi sono del Marchese Panciatichi Ximenes, uno del Barone Sonnino, ma costituiscono terreni distanti dal grosso delle loro fattorie. A Montalbino da sempre è venuto a mancare uno che fosse in grado di esercitare pressione presso l’Amministrazione e il Podestà.

DSCF4485

A venire in soccorso di queste persone abbandonati da tutti ci pensò quel sant’uomo di Elia della Costa. Egli era stato nominato Arcivescovo di Firenze nel dicembre del 1931. Sappiamo che dalla nomina alla presa di possesso della diocesi ci corrono alcuni mesi, quindi questa lettera firmata da lui e datata 2 aprile 1932 deve esser stata scritta subito dopo poco che aveva iniziato a prendere confidenza con il suo nuovo ufficio nel palazzo arcivescovile. Il caso della fonte di Mensoli fu uno dei primi che Elia della Costa prese in esame.

Il consiglio dato a Don Fortini di ritornare al comune per risollecitare una risposta dovette avere finalmente un esito positivo. In archivio non si trovano altre carte inerenti alla fonte di Mensoli c’è solo il cronacario di Don Livi che nel scrivere la storia della frazione prima del suo arrivo dice al riguardo del periodo in cui don Fortini fu Vicario a Montalbino: “In questo periodo fu fatto il serbatoio all’acqua di Mensoli e i vivai.” Poi Don Livi ci informa anche che Don Fortini alla fine del 1932 fu trasferito da San Lorenzo a Montalbino alla parrocchia di San Martino a Maiano e quindi dovette anche lasciare il vicariato di San Giusto a Montalbino. Allora possiamo affermare che tra l’aprile e la fine del 1932 furono finalmente realizzati la cisterna e il vivaio.

32

DSCF4492

Lotta di potere

cimitero 1

Un tempo i defunti venivano inumati sotto l’impiantito delle chiese, usanza che andò in crisi nel periodo dell’Illuminismo quando si iniziarono a determinare le prime norme igieniche e alla luce di esse a promuovere anche l’edificazione di cimiteri fuori dai paesi, ad una certa distanza dalle case. Il principe illuminato per antonomasia in Toscana fu il Granduca Pietro Leopoldo: infatti fu lui a fare un decreto che obbligava ogni comunità ad avere il suo campo santo. Ma non tutte le comunità furono ligie ai dettami del sovrano. Anche con l’occupazione francese si spinse verso l’applicazione di tale normativa, e poi anche nel periodo della Restaurazione con Ferdinando III e Leopoldo II. Tuttavia arrivati all’unità d’Italia ancora non tutte le comunità si erano adeguate e continuavano a deporre i loro morti sotto le chiese parrocchiali. Il regio governo non poteva più tollerare tale usanza ormai anacronistica, ma soprattutto fuori legge, e si impegnò a mettere in pari tutte quelle comunità che erano rimaste addietro nell’eseguire le norme.

E Montalbino rientrava tra quelle frazioni prive ancora di cimitero. Ma non solo la frazione di San Giusto, ma anche quella di San Lorenzo a Montalbino e quella di Trecento. Fu così che il comune di Montespertoli, sollecitato dal Prefetto, si affrettò tramite il suo ingegnare comunale, Giorgio Costa, a presentare un progetto per un cimitero che servisse per le tre frazioni.

Il progetto di Giorgio Costa porta la data del 4 settembre 1868. In esso il Costa descrive che il cimitero dovrà servire una comunità di 450 persone in totale: nello specifico 138 di San Jacopo a Trecento; 149 di San Giusto a Montalbino; 163 di San Lorenzo a Montalbino. Da questa cifra deduce che ci dovrebbero essere in circa 15 decessi all’anno e quindi la dimensione del cimitero, di forma quadrata, doveva essere di metri 16,3 per lato. Il perimetro sarebbe stato chiuso da un muro alto due metri e con l’accesso procurato da un cancelletto fra due colonne in mattoni che culminavano con delle piccole piramidi come decorazione. Segue poi una descrizione particolareggiata dei vari elementi e di come si dovranno svolgere i lavori.

La cosa però che ci interessa di più del progetto di Giorgio Costa e l’ubicazione che l’ingegnere propone. Essendo il cimitero a servizio di tre frazioni esso deve sorgere nel territorio della frazione che sta nel mezzo tra i tre, e cioè in quello di San Giusto a Montalbino. In particolare in una porzione della particella di proprietà che il Barone Sydney Sonnino gentilmente è disposto a concedere. Si tratta della particella 1061 della sezione K del catasto, una piaggia tufacea chiamata “Piaggia della Fornacina” (il microtonimo si trova in un altro documento, e comunque oggi il luogo viene chiamato semplicemente “il Poggio”) posta a tramonatana, ad adeguata distanza dalle case del borgo di Montalbino e, considerando l’ampiezza del territorio delle tre frazioni messe insieme, più o meno equidistante dai confini estremi di questo territorio che vanno dal podere Barberinuzzo di Trecento al podere la Selva di San Lorenzo a Montalbino.

A corredare lo scritto l’ingegnare Costa allega nell’ultimo foglio dei disegni per completare la descrizione del progetto: in alto la pianta quadrata, in basso il disegno del cancello tra le due colonne. A destra il disegno della particella 1061 della sezione K con in rosso il quadrato che costituisce il cimitero. Esso doveva sorgere lungo una strada carrabile che oggi non esiste più, da tempo declassata a viottolo di campo. Ma non finisce qui: sul disegno della particella catastale è stata sovrapposta la scritta “annullato”, mentre sulla sinistra è stato aggiunto uno schizzo di un’altra particella, la 346, sempre della sezione K. In questa particella viene indicato il quadrato del perimetro del cimitero. Sarebbe nel terreno della Chiesa, nel podere di Mensoli, vicino alla omonima cappella che si vede infatti nel disegno. Ed è infatti qui dove sorgerà il cimitero.

C’è stato quindi un cambiamento nel progetto iniziale, di per sé niente di eccezionale se non per il fatto che dall’archivio storico del comune di Montespertoli è custodito un altro documento a dir poco eclatante.

cimitero 2

In data 11 novembre 1869 la Prefettura di Firenze spedisce al Municipio di Montespertoli una richiesta di chiarimenti sulla vicenda del cimitero di Montalbino. Il Prefetto dice che egli aveva approvato in data 10 gennaio 1869 il progetto dell’ingegnere Costa sopra descritto, nella particella che sarebbe stato gentilmente ceduta dal Barone Sonnino, ma l’ufficio dell’Economato Generale dei Benefici Vacanti di Firenze ha informato il Prefetto stesso che nel frattempo il Municipio di Montespertoli ha realizzato il cimitero in una particella di proprietà della parrocchia di Montalbino (la suddetta particella 346), vicino al cappella di Mensoli e quindi anche alla casa del contadino del prete. Viene quindi rimproverato al Comune di Montespertoli di aver proceduto alla realizzazione di tale cimitero senza i permessi della Prefettura, dell’Economato dei Benifici Vacanti e senza la richiesta di esproprio del terreno di proprietà della Chiesa. Per non contare poi che questo cimitero è stato fatto sorgere a soli 50 metri di distanza dalla casa del contadino del prete, quindi si deduce dal tono di rimprovero che è una distanza aldisotto della normativa vigente.

Insomma, non si riesce a capire come mai il Comune di Montespertoli sia andato ad inguaiarsi con questa storia. Era già stato tutto stabilito: c’era il progetto del Costa, l’approvazione del Prefetto, la disponibilità del Barone Sonnino di cedere la terra. E si trattava inoltre di una buona posizione su un terreno asciutto. Invece dove il Comune ha voluto poi realizzare il cimitero, infischiandosene delle normative e dei permessi, è in un terreno scosceso, spesso umido.

La cosa è veramente sconcertante e quindi per raccapezzarci sulla motivazione di tale atto si è costretti a leggere questa storia in filigrana. A stimolare tale esercizio ci viene incontro il semplice registro dei morti della parrocchia di San Giusto a Montalbino. Il parroco don Francesco Bianucci annota la prima sepoltura di un parrocchiano di Montalbino nel cimitero, tale Mattia Pacciani di 83 anni, morto il 22 gennaio 1870. Don Bianucci alla fine annota: “[…] e fu dato al di lui corpo sepoltura nel Campo Santo nuovo di questa cura fatto a spese della Comune di Montespertoli.” Si può notare una sottile soddisfazione nel sottolineare che il cimitero è stato realizzato con i soldi del comune. Una annotazione, tra l’altro, del tutto inutile; e vedendo i registri tenuti da Don Bianucci si può notare il suo stile asciutto e quasi minimalista dove addirittura sovente tralasciava di registrare delle annotazioni assolutamente obbligatorie come il nome del padre del defunto. Invece in questo caso, stranamente, si dilunga in questa annotazione. L’impressione che ne dà è proprio quella di una sottile compiacenza. Pare che il prete e il sindaco abbiano agito di concerto per fargliela sotto il naso al Prefetto. E per quanto riguarda il prete esso sicuramente ha fatto da tramite con la Curia Arcivescovile di Firenze.

Ma perchè la Chiesa e il Municipio hanno agito in questo modo mettendo il Prefetto di fronte al fatto compiuto? Infatti poi il cimitero è rimasto lì, nonostante la serie di trasgressioni alla legge che hanno accompagnato la sua realizzazione. A questo punto è buona cosa analizzare il contesto storico. Il nuovo Regno d’Italia si caratterizzò fin dall’inizio da un esercizio del potere in modo totalmente centralizzato. Il governo, per cementare l’unità del nuovo paese e temendo la reazione dei vecchi poteri regionali e locali che potevano emanare una forza disgregatrice, non si fece scrupolo di usare la mano pesante e far sentire appunto il suo peso in ogni contrada del paese. Grande importanza ebbero i Prefetti collocati in ogni provincia: essi erano semplicemente l’emanazione del potere del governo centrale, e lo esercitarono con forza a scapito delle amministrazioni locali.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

Come possiamo vedere nella lettera del Prefetto di Firenze appare al suo fianco come alleato nella gestione del potere un ente che si chiama Economato dei Benfici Vacanti che oggi non esiste più, eliminato nel 1929 con i Patti Laternansi. Si trattava di un ente laico che esisteva da secoli ed era sempre servito ad amministrare quei benefici ecclesiastici che rimanevano momentaneamente vacanti: poteva capitare che alcune parrocchie rimanessero senza prete anche per alcuni anni. Ma con un nuovo regolamento del 16 gennaio 1861 l’Economato ebbe l’onere di vigilare anche sui beni ecclesiastici non vacanti, di fatto diminuendo in modo drastico l’autonomia della Chiesa nel gestire il proprio patrimonio. Quindi da una parte il Prefetto soffocava il potere amminisrativo dei sindaci e dall’altra l’Economato dei Benefici Vacanti soffocava il potere amministrativo della Chiesa. Per secoli il Municipio e la Chiesa erano stati gli unici che avevano esercitato il potere locale, gli unici a raccogliere le istanze della popolazione, spesso anche in rivalità tra loro. Ma adesso, di fronte al nemico comune, cioè il governo centrale massonico e arrogante, i due antichi rivali, Municipio e Chiesa, si ritrovarono alleati.

Ora, può darsi che gli abitanti di Montalbino siano rimasti contrariati nel sapere che era stato già approvato il progetto di realizzare il cimitero nella piaggia della Fornacina. In quella piaggia, vicino al luogo dove sarebbe sorto il cimitero, all’epoca c’erano delle pozze d’acqua dove le donne andavano a lavare i panni. Era un luogo di ritrovo, non solo dove si lavorava, ma anche di chiacchiere e compagnia. Sapere che adesso questo posto sarebbe stato infestato da un cimitero con tutte le paure e le dicerie che accompagnavano questi luoghi (vedi fuochi fatui scambiati per fantasmi) probabimente ci fu una viva protesta. La gente andò a lagnarsi da Don Bianucci e lui sarà andato a riferire in Municipio. A sua volta il Municipio avrà pregato il Prefetto di modificare il progetto iniziale per venire incontro alle esigenze della popolazione. Al Prefetto gli sarà apparso assurdo assecondare dicerie dovuto dall’ignoranza dei contadini e avrà ribadito che il progetto era buono così com’era e non si poteva più cambiare. Ma la gente continuò a mormorare e la Chiesa e il Municipio, che da tempo rodevano per aver perso la loro autorità, decisero di far per conto proprio infischiandosene del nuovo potere usurpatore e ribadendo così al popolo che erano loro gli unici enti che stavano dalla loro parte e che ascoltavano le loro richieste. E pazienza se il terreno che il Barone Sonnino era disposto a cedere era obbiettivamente migliore, asciutto, pianeggiante, comodo. Il Sonnino era pure lui un massone e un anticlericale, rappresentava la nuova aristocrazia che si indentificava con i tempi moderni e con l’Italia unita; da poco aveva acquistato tutte le terre di quella brava persona del Conte Galli, sempre stato devoto alla Chiesa e attaccato all’antica tradizione. Pazienza se il terreno che scelsero tra di loro era in pendenza, scomodo e umido, l’importante era sbugiardare di fronte al popolo il potere arrogante centralizzato. Facendo la cosa tra di loro evitarono di richiedere a questo punto inutili permessi come l’esproprio delle terre della Chiesa da parte del Comune visto che la Chiesa gli cedette sottobanco quel terreno. E poi, probabilmente, nel compilare la documentazione per tale richiesta avrebbero in automatico messo al corrente l’Economato dei Benefici Vacanti che in tal caso avrebbe bloccato il tutto alla nascita. Così invece il Prefetto e l’Economato furono messi di fronte al fatto compiuto. Fu un vero e proprio atto di insuburdinazione!

Forse seguì una reprimenda, qualcuno avrà pagato una multa salata, ma il cimitero ancora oggi è sempre lì e quando vi entriamo è bene conoscere questa storia immaginandoci le discussioni della gente, le paure, le liti negli uffici, gli incontri per architettare il piano segreto. E’ un caso tipico in cui la grande storia nazionale si è intrecciata con la piccola storia locale. A Montalbino il trauma dell’unità del paese che portò allo sconvolgimento degli antichi equilibri si è concretizzato con la realizzazione di questo piccolo cimitero.

Le nuove curve di Turignano

nuove curve 5

nuove curve 6

Le due curve attuali della strada che da Montalbino scende a Turignano.

Partendo da Montalbino per andare verso la pieve di San Pietro in Mercato, prima di arrivare alle case di Turignano ci sono due curve a gomito, la prima a destra e la seconda a sinistra, che servono per affrontare un primo dislivello della collina. Dopo la seconda curva la strada prosegue in discesa fino al torrente Pesciola. Chi è del posto conosce benissimo le cosiddette “curve di Turignano”.

Furono fatte nella prima metà del ‘900 come correttivo di un precedente tracciato che a parere di tutti era pericoloso e disagevole. Per adesso la data esatta in cui furono realizzate la dobbiamo ancora scoprire, sappiamo solo che l’iter per eseguire il lavoro fu più lungo del previsto; dai resoconti delle sedute del consiglio comunale di Montespertoli si scopre che si era inziato a parlarne già nel 1890 con una prima convocazione nata per rispondere ad una petizione della popolazione. Seguirono altre sedute, e ogni volta si concludevano con buoni propositi e con la sensazione di essere ad un buon punto, ma ogni volta non era l’ultima volta.

Ma com’era il primitivo tracciato? Venendo da Montalbino e passato sulla sinistra l’incrocio per San Lorenzo, adesso troviamo la prima delle curve di Turignano, quella a destra, ma un tempo non c’era e si proseguiva a diritto calando lungo il limitare di un’odierna oliveta. Si trattava di una discesa molto ripida perchè con essa si faceva l’intero dislivello che attualmente facciamo con le due curve. In fondo a questa discesa ripidissima c’erano lì due curve oggi scomparse, destra e sinistra, molto strette, dove all’esterno della seconda, quella a sinistra, c’era la piccola cappellina di San Sebastiano. Quindi la strada continuava ancora in discesa verso le case di Turignano sovrapponendosi con il tracciato odierno.

nuove curve 4

In tratteggiato l’antico tracciato

nuove curve 7

Questo sentiero che costeggia gli ulivi era la vecchia strada

nuove curve 8

In rosso la vecchia direttrice che dopo la curva che si immette sull’odierno tracciato

E’ datata 20 ottobre 1890 la petizione fatta dagli abitanti delle tre parrocchie (San Giusto a Montalbino, San Lorenzo a Montalbino e San Jacopo a Trecento) che adopravano questa strada regolarmente. In questa petizone spedita “All’Onorevole Consiglio Comunale di Montespertoli” si fa notare la pericolosità e l’impraticabilità di questo tratto di strada che veniva usata anche da medici e ostetriche che dovevano all’occorrenza intervenire urgentemente. Infatti passando a piedi sul vecchio tracciato è facile immaginare la difficoltà di percorrere questa strada in salita, specialmente per un barroccio carico, ma soprattutto la pericolosità nell’affrontarla in discesa sempre con il medesimo barroccio, con il freno tirato per evitare che il cavallo venisse spinto dal peso del carico. Il tutto ancora più complicato in caso di pioggia e di fango: in tal caso era probabile che la strada non servisse più a niente.

I firmatari della petizione si definiscono possidenti, agenti e elettori politici e amministrativi, come per far pesare ai consiglieri comunali il potere che potevano esercitare su di loro mandandoli eventualmente a casa con le prossime elezioni. Troviamo tante firme, tra essi quelli dei tre preti delle parrocchie, don Ottavio Chiti di San Lorenzo, don Francesco Bianucci di San Giusto e don Angiolo Malcuori di Trecento, e poi tanti capi famiglia, praticamente tutti i mezzadri. Curioso il fatto che fossero tutti capaci di fare la firma.

nuove curve 2

La raccolta di firme

In data 22 ottobre 1890 si riunisce il consiglio comunale. All’epoca il sindaco era il Cavaliere Guido Puccioni che presiede la seduta; vi partecipano undici consiglieri su venti. Si legge la petizione e poi prende la parola il barone Sidney Sonnino che sottolinea che quella strada ha delle pendenze che non si registrano in altre strade del comune, per fare intendere così la necessità di proseguire con un correttivo del tracciato. Prende poi la parola il conte Guicciardini che dice che gli farebbe piacere pure a lui risolvere il problema di quel tratto di strada, ma fa notare che essa rientra nella categoria di “strade comunali facoltative” e che i soldi pubblici andrebbero prima spesi per le “strade comunali obbligatorie”.

Va notato che nella zona di Montalbino/Trecento il Guicciardini non aveva possedimenti e quindi non aveva nessun interesse che lo spingesse a stanziare i soldi del comune per il rifacimento di quelle strade. Invece il Sonnino aveva in quella zona diversi poderi e per quella strada pericolosa passavano i suoi raccolti che dovevano essere trasportati nel castello che aveva alle porte del paese. E’ il vecchio giochetto del potere: in consiglio comunale sedevano i possidenti terrieri e ognuno di loro faceva di tutto per tirare l’acqua al suo mulino facendo in modo che i soldi pubblici venissero usati per migliorare le aree dove gravitavano i loro possedimenti. Di conseguenza per le famiglie contadine era un grande vantaggio lavorare in fattorie ben organizzate e soprattutto di grandi estensione. Più la fattoria era grande, più il padrone aveva potere nell’Amministrazione Comunale, più migliorie venivano fatte alle strade e alle sorgenti, e più migliorava la qualità della vita delle famiglie contadine.

Quindi il Sonnino, che aveva i suoi interessi, riprese la parola per far capire che anche se quella strada era classificata come secondaria, era tuttavia in condizioni disastrose e necessitava di una soluzione. Poi aggiunse, forse con tono avvelenato, che per esempio in quei giorni il consiglio stava deliberando al riguardo di una strada nuova da fare nella valle del Virginio e che pure essa era secondaria e che ciononostante passava avanti ad altre strade obbligatorie (e il Guicciardini praticamente aveva tutte le sue proprietà nella valle del Virginio). Immaginiamo le sguardate di sfida che si saranno mandati i due contendenti.

nuove curve 3

Estratto delle deliberazioni della seduta del consiglio comunale di Montespertoli del 22 ottobre 1890

Alla fine i consiglieri votarono a favore della strada di Turignano, e cioè che si cominciasse almeno a fare un progetto e così veniva dato ordine al geometra comunale di mettersi al lavoro e di rimandare il tutto alla prossima seduta a primavera.

Nel maggio 1891 si andò oltre approvando un progetto di massima per il rifacimento di tutta la via fino a Montalbino, ma è solo con il consiglio del 31 maggio 1893 che si andò più sul concreto. Si parlò nuovamente del solo tratto di Turignano in cui si deliberò che sarebbero state stanziate 3000 lire prese dal bilancio comunale del anno 1893. Si sottolinea che il comune godeva del fatto che i proprietari dei terreni su cui gravava il progetto delle nuove curve avrebbero ceduto gratuitamente il terreno: essi erano i fratelli Gaetano e avv.Angiolo Rapi (proprietari dei due poderi di Turignano) e il marchese Ferdinando Panciatichi Ximenes di Aragona (proprietario del fattoria di Aliano).

Ma in reltà tutto rimane fermo. Lo si evince dal fatto che sei anni dopo avviene un’altra seduta consiliare, è il 25 ottobre 1899, sindaco è adesso Pietro Zetti. Non troviamo più la figura di Sonnino ormai a Roma impegnato in bel altre faccende, ma la seduta nasce da una proposta del consigliere Pietro Pampaloni che sostituendo il Sonnino in questa battaglia chiede che venga fatta la correzione della strada a Turignano. Non si fa cenno ai buoni propositi che si erano fatti anni prima, probabilmente i soldi che si pensava di usare avevano preso un’altra via. Vediamo che adesso il Presidente della Commissione dei Lavori Pubblici e proprio il Conte Guicciardini (che a suo tempo era stato contrario alla realizzazione della correzione della strada) che si limita a riferire che per quell’anno dal bilancio erano disponibili solo 1000 lire, evidentemente insufficienti per ralizzare il lavoro, lavoro che tra l’altro risulta molto più costoso di come si era pensato. Chi prende la parola però è il cav. Salvadori: egli dice che una buona viabilità favorisce l’economia e quindi, visto che la strada di Turignano deve essere per forza corretta e la sua correzione favorirebbe l’economia delle famiglie di quel luogo, propone che vengano quindi tassati i proprietari terrieri di quel luogo per finanziare i lavori. Si dice che è un metodo già usato con successo per altre strade come quella di San Vincenzo, della Romita e della Burraia. Da questa tassa però devono essere esentati i fratelli Rapi e il Marchese Panciatichi perchè il loro contributo già consiste nella cessione delle terre. Il Pampaloni però replica che nella zona interessata la maggior parte dei proprietari sono piccoli latifondisti e non si può chiedere loro una tassa. Controbatte il Salvadori dicendo che ovviamente il tutto sarà calcolato in proporzione alle loro possibilità. Alla fine si procede con la confisca delle terre. Forse siamo arrivati ad un buon punto, ma non è finita.

Altra seduta del consiglio comunale datato 22 dicembre 1902, sindaco è il dott. Ubaldino Baldi. A regola ai piccoli possidenti non è piaciuta la soluzione della tassazione, infatti niente è stato fatto. Prende la parola nuovamente Pietro Pampaloni stavolta in nome del consigliere Stefano Chiti che aveva proposto lui la seduta ma che non è potuto venire. Il Pampaloni chiede che venga almeno parzialmente corretta la strada di Montalbino definita da lui la strada più impraticabile e la meno curata del comune. Prende allora la parola il Guicciardini e stavolta le sue parole non ammettono altre replice: anche se la cosa gli dispiace molto i soldi non ci sono. Spalleggiato da altri consiglieri si decide alla fine di rimandare e di richiedere per il momento all’ingegnare un progetto di massima (un altro!).

Ripeto che per adesso non sappiamo quando è finito questo tira e molla: sta di fatto che oggi le curve, come appaiono nei progetti di quegli anni, ci sono.

nuove curve 1

Il progetto delle nuove curve. Qui si vede anche il tracciato di come era la strada con le vecchie curve

Don Francesco Bianucci, il “Vicarione”

img_0606

Nel 1862 arrivò a Montalbino il nuovo parroco alla chiesa di San Giusto. Si chiamava don Francesco Bianucci e sostituì don Carlo Paoli. Arrivò col titolo di Vicario Spirituale e dopo ben 15 anni gli fu concesso il titolo di Priore di San Giusto a Montalbino. Rimase qui fino alla sua morte avvenuta nel 1900. Essendo don Bianucci un tipo dalla corporatura robusta la gente lo soprannominò il “Vicarione” e tale soprannome gli rimase anche quando fu fatto priore.

Di lui sappiamo alcune cose grazie ad un cronacario scritto anni dopo da don Livi che arrivato a Montalbino nel 1937 e non trovando un cronacario parrocchiale decise di cominciarne uno nuovo e lo iniziò scrivendo un po’ della storia passata della parrocchia interrogando i vecchi che sapevano qualcosa dei parroci precedenti a lui.

Del Vicarione ne esce il ritratto di una persona bonaria e semplice. I vecchi raccontarono che don Bianucci una volta era andato a Roma e al suo ritorno, di fronte alle pressanti domande delle persone che chiedevano qualcosa di Roma, egli non seppe altro che dire: “Bimbo mio che cavalli! Bimbo mio che cavalli!” Di tutto quello che aveva visto nella città eterna gli erano rimasti impressi solo i cavalli: probabilmente ne era un appassionato. In un’altra occasione dovette leggere in chiesa una lettera pastorale. In essa si tessevano le lodi del pontefice Leone XIII per aver saputo mediare un accordo diplomatico tra Germania e Giappone al riguardo la sovranità sulle Isole Caroline. Quindi durante la lettera ricorreva spesso il nome “Caroline… Caroline…”, allorché alla fine i fedeli chiesero al prete: “Ma sor priore, o i che sono ‘ste Caroline?” Pare che lui abbia risposto: “Sentite, di preciso non lo so nemmeno io, ma da tutto l’insieme, da quanto mi è dato conoscere, devon essere delle monache!”

Insomma, un personaggio che ci fa sorridere, una sorta di macchietta in un panorama agreste di persone semplici. Ma in realtà il “Vicarione” è stata una persona che ha influito, forse incosapevolmente, sulla piccola storia di Montalbino.

Purtroppo non ci è pervenuto quasi niente negli archivi parrocchiali della documentazione ordinaria dell’800. Lo Stato delle Anime probabilmente sfasciato inizia solo dal 1886, i matrimoni dal 1881 e il quaderno dei morti dal 1862, iniziato proprio da don Bianucci. Ed è per questo che ho connotato il suo arrivo in quell’anno. In realtà don Livi, nella sua ricerca che aveva fatto in curia, aveva posto come arrivo di don Bianucci il 1867, ma è probabile che debba aver scambiato un 2 con un 7, cosa molto fattibile. Il registro dei morti iniziato nel 1862 è una prova incofutabile che in quell’anno era già arrivato. Arrivò insieme a dei familiari, come d’abitudine. Nel 1886 troviamo in canonica insieme a lui un fratello e una sorella, Giuseppe e Caterina, etrambi non sposati. E poi c’è il famoso “nipote” Giacobbe Barbeschi, per gli amici Giobbe. Egli viveva nel 1886 in una casa per conto suo con moglie e quattro figli che sarebbero aumentati col passare degli anni. Ed è qui che si concentra la nostra storia.

Per questo passaggio mi avvalgo del racconto tramandato in famiglia visto che i miei antenati materni furono per diversi anni contadini del prete, di don Bianucci; e il loro non era un semplice rapporto formale tra padrone e contadino, ma c’era una certa vicinanza e amicizia. Mio nonno raccontava questa storia che gli aveva raccontato suo padre che aveva vissuto all’epoca dei fatti.

Innanzitutto la figura del “nipote” Barbeschi. Lo metto tra virgolette perchè così è stato tramandato nel racconto, ma dallo Stato d’Anime c’è qualche stranezza. Negli ultimi anni che visse a Montalbino, i preti che succedettero a don Bianucci, e che erano più precisi a fare le annotazione nei registri, lo annotarono nello Stato delle Anime come Barbeschi Giacobbe degli Innocenti. Generalmente dopo il cognome e il nome veniva posto il nome del padre, come per esempio sua moglie Rosa Mecocci del fu Martino. Quindi Giacobbe non aveva un padre e proveniva dall’Istituto degli Innocenti, cioè il grande orfanotrofio di Firenze? Sembrerebbe, anche se è strano che ai Nocentini, dove si inventavano di sana pianta i cognomi dei bambini orfani, si fossero prodigati nel coniare questo “Barbeschi”: non sembra un cognome da nocentino. Era dunque “nipote” di don Bianucci perchè era stato adottato? Oppure semplicemente non era lui il nipote, ma sua moglie Rosa Mecocci, figlia di un’altra sorella del prete, sposata con il fu Martino Mecocci e nel 1886, anno del primo Stato d’Anime in nostro possesso, era già deceduta. In questo caso Giobbe Barbeschi sarebbe un nipote acquisito. Sia come sia, o che fosse lui il nipote, o che fosse lei la nipote, il racconto di famiglia narra che i due si sposarono e in un primo tempo vissero in canonica con il resto della famiglia Bianucci. Vedendo dallo Stato d’Anime del 1886 che la primogenita Maria Ida Barbeschi aveva 10 anni, vuol dire che essa era nata nel 1876 e probabilmente i genitori si erano sposati nel 1875. Avendo i giovani piccioncini principiato a fare un figlio ogni due anni il Vicarione temette di ritrovarsi in canonica un asilo infantile e, probabilmente, di comune accordo con il nipote, decise di trovargli una sistemazione.

Il bonario e semplice Vicarione seppe perorare bene la sua causa. Riuscì infatti a far scorporare dai terreni della Chiesa una particella rettangolare dove far costruire la casa per il “nipote”.

Facciamo però un rapido sguardo a quello che è stato l’aspetto di Montalbino per secoli. Sappiamo che nel medioevo Montalbino era un castello e che poi nel famoso catasto di Firenze del 1427 Montalbino viene definito come castellare. Il castellare altro non era che un castello dismesso, ove non vi abitava più il castellano: eventuali fortificazioni in via di smantellamento, divisioni degli edifici orginari in appartamenti, recupero di pietre per nuovi usi. Da questa disgregazione dell’antico castello il risultato finale furono quattro edifici: la chiesa di San Giusto (che un tempo era una sorta di cappella interna al castello); al fianco della chiesa la casa del prete, la cosidetta canonica; e altri due edifici privati di fronte alla chiesa. Il tutto intorno ad una piazzetta più o meno triangolare. Si può ipotizzare che il processo di trasformazione si fosse concluso alla fine del ‘400 e così rimase cristallizzato nel tempo fino alla metà dell’800.

campione-strade

Nel Campione delle Strade del 1819, custodito nell’archivio storico preunitario del comune di Montespertoli, si può vedere la pianta di Montalbino così com’era in origine: la chiesa, la canonica e gli altri due edifici che nello specifico sono segnate così: quello più prossimo alla chiesa era di proprietà del Marchese Panciatichi che aveva la sua fattoria presso la villa di Aliano con tanti poderi intorno. Questa casa decentrata dal resto della fattoria probabilmente era adibito ad appartamenti per braccianti. La seconda casa era divisa in due proprietà: quella dal lato interno della piazza, prossima alla casa del Panciatichi, era di proprietà di un certo Giovanni Frosali; la parte esterna era di proprietà del Conte Galli. Inoltre, dallo stradario in cui sono segnati sui bordi delle strade i proprietari terrieri, risulta che il conte Galli possedeva quasi tutti i terreni intorno all’abitato. Quasi tutti. Per esempio l’uliveta che iniziava dal limitare della piazzetta triangolare e che si allungava per un breve crinale fino all’ergersi di una collinetta che qui chiamano “il Poggio” non era dei Galli, ma della Chiesa. Anche se nel campione delle strade risulta del Galli. In realtà quella particella, come forse altre, era di proprietà della Pieve di San Pietro in Mercato, quindi non della parrocchia di San Giusto, che aveva le sue terre nei pressi della cappella di Mensoli ove viveva il contadino. Le proprietà fondiare della pieve nel territorio montalbinese esistevano da secoli, e per secoli la pieve le aveva date in gestione a famiglie fiorentine, o in affitto o a livello. I conti Galli ebbero a livello queste terre all’inizio del ‘700.

Continuamo con la descrizione della vecchia Montalbino. Per accedere al borgo si saliva da una strada ripida al fianco sinistro della chiesa, stretta tra questa e la casa di proprietà del Panciatichi. Nell’antico doveva essere stato l’accesso al castello. Quindi, andando in senso inverso, per uscire dalla piazza si percorreva la strada in discesa che svoltava sul retro della casa del Panciartchi; dopo la curva c’era un primo incrocio con una strada sulla sinistra che scendeva lungo il Colle di Montalbino; dall’incrocio andando a diritto si costeggiava sulla destra un ciglione ove sopra sul crinale c’era l’uliveta della Chiesa data a livello al Conte Galli, e alla fine dell’uliveta c’era un altro incrocio: una strada a destra che si inerpicava sul “Poggio” e che andava a Trecento e Lucardo, oppure si proseguiva ancora a diritto per andare alla cappella di Mensoli e quindi per Montespertoli.

Al tempo della vincenda di don Bianucci, e del “nipote” da sistemare, l’uliveta che partiva dalla fine della piazzatta e che arrivava alle pendici del “Poggio” probabilmente era dato a livello al Barone Sonnino. Infatti nel 1870 il conte Galli aveva venduto tutte le sue proprietà montespertolesi, immobiliari e fondiari, al Barone Isacco Sonnino. Quindi è presumibile che anche l’uliveta vicina alle case di Montalbino fosse gestita dai Sonnino.

Il Vicarione o andò dal pievano, oppure andò direttamente a Firenze, in curia: sta di fatto riuscì a far scorporare una particella dell’uliveta e acquistarla, magari, a prezzo di favore, e segnarlo al nipote. Il Vicarione, semplice e bonario, seppe muoversi con decisione e fare gli interessi di famiglia.

La particella che ebbe Giacobbe Barbeschi si trovava alla fine dell’uliveta, a ridosso del “Poggio”, quindi il punto più distante dalle vecchie case. Su questa particella eresse la sua casa. Va detto che questa costruzione non fu la prima dopo secoli che fu innalzata a Montalbino, proprio qualche anno prima era stata costruita un’abitazione in una particella sul retro delle vecchie case: una particella che doveva essere o della famiglia Frosali o del Panciatichi. Probabilmente era stata costruita negli anni ’60. Questa casa era stata “battezzata” dalla gente del posto “Buchetta” perchè era posta in basso rispetto alle vecchie case che la sovrastavano. Era a tre piani e realizzata sbancando il ciglione e affacciandosi sulla strada. Il piano terreno risultava seminterrato, infatti vista davanti la Buchetta ha tre piani, ma dal retro, visto dall’uliveta appare ad un solo piano. Se la Buchetta si adattò a quello che era la vecchia viabilità, la nuova casa del Barbeschi risulta invece più indipendente. Sorse a pianta più o meno quadrata, ubicata sopra il crinale e con la facciata rivolta al lato opposto dove c’era la strada creando così uno spazio privato. La porta d’ingresso aveva, ed ha ancora, una lunetta in ferro battuto con le inziali del proprietario G.B. e al di sopra un’edicola con l’immagine della Madonna. Sul retro c’era un’aia che arrivava fino all’inizio del ciglione.

La casa di Giobbe, nata grazie all’impegno dello zio Vicarione, posizionata in quel modo, sarà il perno su cui si innesterà il piccolo sviluppo della nuova Montalbino in cui troveranno posto un alimentari, una scuola e nuova strada di accesso alla piazzetta della chiesa facendo declassare quella preesistente.

Inserisco qui uno schizzo, o meglio, uno scarabocchio che rappresenta un’immagine di Montalbino all’epoca in cui fu costruita la casa del Barbeschi.

cartina2

Legenda: 1) Chiesa di San Giusto; 2) Casa canonica; 3) Casa di proprietà prima del Conte Galli, poi venduta al Barone Sonnino; 4) Casa di proprietà della famiglia Frosali; 5) Casa di proprietà del Marchese Panciatichi; 6) Casa denominata “Buchetta”; 7) Strada che scende al Colle Montalbino; 8) Uliveta della Chiesa data a livello; 9) Casa di Giacobbe Barbeschi; 10) Lato della facciata principale della casa Barbeschi con la porta con le iniziali (vedi foto in alto); 11) Retro della casa Barbeschi con l’aia; 12) Strada che va a Mensoli e Montespertoli; 13) Strada che va a Trecento e Lucardo; 14) Collinetta chiamata “il Poggio”.