Il pio legato non adempiuto

pio legato verdiani

Già un paio di volte in questo blog abbiamo avuto a che fare con dei pii legati: uno della famiglia del Benino legato alla cappella di San Sebastiano nella parrocchia di San Lorenzo a Montalbino, e un altro della famiglia de Rossi legato alla cappella di Mensoli nella parrocchia di San Giusto a Montalbino. Come abbiamo avuto modo di capire il pio legato era un legame perpetuo tra una famiglia e una chiesa nato da un testamento dove la persona richiedeva per la sua anima, una volta deceduto, un numero determinato di messe in un giorno particolare dell’anno, o in più giorni all’anno, impegnandosi a dare un determinato compenso al prete o ai preti che prendevano parte alla cerimonia. Il tutto in perpetuo. Quindi una sorta di contratto, un legame, appunto, che univa per sempre quella data chiesa con quella data famiglia.

C’è da chiedersi: ma se col passare delle generazioni la famiglia legata si impoveriva come poteva continuare ad adempiere a questa sorta di giuramento? Oppure, impoverimento o no, in generale a cosa andavano incontro coloro che non adempivano al pio legato? A Montalbino ci fu proprio un caso del genere. Ce lo racconta nel cronacario il rettore Pietro Chiti (parroco dal 1756 al 1802). La pagina che ci ha lasciato, rinvenuta nell’archivio storico arcivescovile, non è prorpio grammaticalmente allineato con l’italiano dei giorni nostri e alcuni passaggi devono essere interpretati. Comunque in linea di massima si capisce. Ecco la trascrizione. I puntini di sospensione sostituiscono delle abbreviazioni che all’epoca andavano molto di moda e che non sono riuscito a capire il significato.

Ricordo come a tenore del testamento fatto da Orazio di Luigi Verdiani sotto di 18 novembre 1645, rogato da sig. Pier Francesco Giovacchini da Firenzuola, i Signori Andrea e Reverendo Signor Ferdinando Verdiani del Pino p. di San Bartolomeo a Tresanti come eredi del sopraddetto testatore, instanza amichevolmente fattagli da me Padre Pietro Neri Maria Chiti curato di San Giusto a Montalbino, si trovarono obbligati a fare in perpetuo un ufficio anniversario in questa chiesa, con messa cantata, e cinque piane; quale ufficio suddetto si è potuto congetturare lo spazio di anni 60 circa da loro antenati, .. che dimenticanza era stato tralasciato; a tale effetto i suddetti signori anime loro, perchè troppo gravoso, e superiore alle loro possibilità ora il soddisfare a questo l’arretrato, chiesero la sanatoria a Roma, e ne ottennero il rescritto favorevole sotto di 29 agosto 1762; … apparisce dal loro memoriale che il curato pro tempore di Montalbino ha facoltà di far condannare i suddetti signori Verdiani in scudi quaranta, … due anni contigui tralasciassero di far suddetto ufficio e suddetta somma deva servir come dote per far sudetto ufficio, … costa da altro ricordo qui più avanti annesso … La soddisfazione di suddetto ufficio sopra registrata al libro della congregazione della Buona Morte, e ricordi di questa cura, quasi in fine.

Dunque, la prima parte è quella più semplice. Nel 1645 Orazio Verdiani aveva rogato il testamento con il notaio Pier Francesco Giovacchini in cui richiedeva per la sua anima un ufficio di sei messe per ogni anniversario (probabilmente della sua morte) di cui una solenne e cantata, e altre cinque “piane“, cioè delle messe semplici. Questo pio legato però è da molti anni che non viene adempiuto e don Chiti “amichevolmente” lo fa presente agli eredi di Orazio, i signori Andrea Verdiani e il prete Ferdinanado Verdiani (non sappiamo se fratelli o cugini) che non abitano più a Montalbino, ma al podere il Pino, nel popolo di Tresanti. Nella sua memoria don Chiti non ci dice in quanto doveva consistere la ricompensa per il prete che doveva fare l’ufficio, ma rammenta solo che i due eredi si erano dimenicati di richiederlo, ma soprattutto pare di capire che non si è trattato di una semplice dimenticanza dei diretti interessati, me che in famiglia se n’era persa memoria da tempo. Don Chiti dice che “si è potuto congetturare lo spazio di 60 anni da loro antenati.” Forse vuole dire che erano ben 60 anni che non si era adempiuto all’obbligo del pio legato. Quindi pare che don Chiti rovistando tra le carte dell’archivio parrocchiale si sia imbattuto nel testamento di Orazio Verdiani e lo abbia scoperto solo all’ora. Il suo predecessore, don Borghetti, probabilmente non ne aveva mai fatto menzione e non aveva mai ricordato ai Verdiani tale obbligo, per questo si era persa memoria. Il mancato adempimento del legato per così tanti anni aveva fatto accumulare una multa salatissima che gli eredi Verdiani, caduti dal pero, ammisero di non avere le sostanze per pagare una tale cifra. Si scopre infatti più in avanti nello scritto che il prete pro tempore di Montalbino, secondo l’accordo rogato nel 1645, poteva richiedere una multa di 40 scudi se per due anni non veniva ordinato l’ufficio dagli eredi di Orazio. E se gli anni saltati sono i 60 che il Chiti “congettura” sarebbe un totale di 1200 scudi. I Verdiani fanno richiesta direttamente a Roma per avere una sanatoria. La ottengono in data 29 agosto 1762, il debito così viene estinto, ma se ho capito bene rimane da quel momento in poi l’obbligo di continuare con il pio legato, pena la medesima multa se dovessero da quel momento in poi non adempiere con la richiesta dell’uffizio. E’ un po’ oscuro il passaggio del Chiti che dice che il prete pro tempore ha il potere di comminare una multa di 40 scudi se i Verdiani tralasciassero per due anni di far fare l’uffizio, e che tale somma servirà per dote per fare comunque tale uffizio. Quindi alla fine verrà fatto lo stesso.

Come accennato manca il passaggio in cui si dice quale sarebbe il normale compenso nell’adempiere l’uffizio annualmente. Non sta scritto nemmeno in un altro ricordo in cui il Chiti accenna, “… costa da altro ricordo qui più avanti annesso …” che effettivamente sta qualche pagina più avanti. Esso pare scritto pure quello da don Chiti, ma dovrebbe trattarsi di una trascrizione di un originale che probabilmente è quello risalente al 1645. L’originale che oggi manca fu senz’altro vergato dal parroco di Montalbino dell’epoca, don Luigi Verdiani, figlio di Mariano, probabile parente del testamentario Orazio, figlio di Luigi Verdiani. In questo documento, che è quello che aveva ritrovato don Chiti in archivio, si parla dell’uffizio che fa parte del testamento di Orazio Verdiani rogato dal notaio Pier Francesco Giovacchini di Firenzuola, che consta in sei messe di cui una cantata, e si parla della multa di 40 scudi se vengono saltati due anni. Ma anche qui nessun accenno a quanto concerne la donazione che la famiglia Verdiani dovrebbe dare per la normale esecuzione annuale dell’uffizio. Evidentemente dovevano esserci in origine altri fogli che sono andati perduti.

Quello che è interessante scoprire da questa vicenda è che in caso di inadempimento di un pio legato, ma ipotizziamo anche in caso di volontà di scioglimento, le carte per risolvere la situazione dovevano essere inoltrate direttamente a Roma, quindi non era sufficiente il vescovo della propria diocesi. I pii legati erano accordi talmente solenni e sacri che solo il papa, o chi era delegato da lui in Vaticano, poteva mettervi mano.

La visita pastorale a San Lorenzo del 1939

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Nel dicembre del 1939 il Cardinale Elia della Costa, Arcivescovo di Firenze, effettuò una serie di visite pastorali in questa zona della diocesi. Abbiamo già visto che il 17 dicembre era stato a San Giusto a Montalbino, adesso vediamo che dopo una settimana, praticamente alla vigilia di Natale, il cardinale si reca a fare la visita a San Lorenzo a Montalbino.

Il resoconto che viene stilato dal parroco alla fine della giornata nel cronacario ricalca quello di una settimana prima: le visite pastorali seguivano tutte il solito schema. Tuttavia c’è da notare qualche differenza. Don Angiolo Livi era Vicario Economo di entrambe le parrocchie, ma a Montalbino ci abitava, mentre a San Lorenzo si recava solo a dire messa e a fare dottrina a bambini (a questo compito in realtà ci pensava sua sorella). Di fatto la canonica era disabitata e dal resoconto della visita pastorale si fa cenno al fatto che si trova in cattive condizioni. C’è da notare che i bambini che sono passati a cresima erano ben undici contro i soli quattro di Montalbino della settimana prima, segno che San Lorenzo era più abitata di San Giusto. Poi c’è sempre la pioggia ad accompagnare queste visite pastorali, ma se una settimana prima a Montalbino piovigginava, adesso pioveva più forte e le strade erano impraticabili. Inoltre all’epoca senza indicazioni stradali era facile perdersi, cosa che capitò anche al cardinale della Costa.

Aggiungiamo che dal cronacario si evince che nei giorni precedenti ci fu molta attività: le donne fecero una colletta per acquistare un tappeto rosso da mettere sull’inginocchiatoio, don Livi sollecitò il comune che imbiancasse le mura del cimitero e un frate cappuccino, certo Padre Cristoforo da Salerno, tenne prediche in chiesa nei quattro giorni che precedettero l’arrivo del cardinale.

Ma ecco la trascrizione del cronacario di don Livi riguardante il giorno della visita pastorale.

24 dicembre 1939

Piove. E’ piovuto tutta la notte. Male per le nostre strade così disastrate. Il Cardinale deve venire da San Pietro in Mercato dove ha celebrato la S.Messa. Dovrebbe arrivare alle ore 8. Il Vicario sa che, data la strada pessima, Sua Eminenza non verrà dalla Pesciola e da Turignano, ma passando da Aliano, Lucardo, Trecento e Montalbino.

I capi famiglia sono sul sagrato con la cappa e lo stendardo ad aspettare Sua Eminenza sotto gli ombrelli. Per un falso allarme si comincia a suonare le campane a doppio. Ma il Cardinale non arriva, sono le otto e non arriva, sono gà le otto e mezza e non è ancora arrivato. Poi sapremo che venendo da Montalbino invece di voltare a sinistra ha seguito a diritto e, verso giù per Turignano, è andato a rifinire al ponte della Pesciola. Lì ha svoltato, accortesi dell’errore, ed è tornato in su. Il Vicario doveva mettere una mano alla svoltata e fare da indicatore. Ecco che arriva e, sotto l’ombrello, entra in chiesa. Dopo le Preci di rito parla al popolo. Quindi comincia la celebrazione della S.Messa il segretario Don Alberto Cortesi. Durante la S.Messa vengono dal popolo cantate in gregoriano le parti fisse e mottetti come “Ave Verum”, “Adorate devote”. Alla S. Comunione il Cardinale comunica gli uomini e il segretario le donne. Il Vicario non era riuscito ancora in due anni e mezzo vedere una comunione generale. Questa chiamiamola generale, sebbene diversi uomini, sempre i soliti paurosi di esser troppo generosi con Nostro Signore, non fossero presenti. Subito dopo la S. Messa ci fu l’esame della dottrina cristiana. Data la cattiva stagione ne mancava diversi. Risposero abbastanza bene, forse meglio che a Montalbino. Sua Eminenza notò la presenza di soli tre ragazzetti d’età. Invitò i genitori a mandare alla dottrina i loro figli senza stimarli grandi abbastanza presto. Fece la visita alla chiesa notando i cretti e l’umido. Visitò tutte le stanze della canonica notando l’abbandono e le riparazioni che si renderebbero necessarie per renderla abitabile. Dette ordine di fare una perizia per la chiesa e per la canonica tanto per avere qualche cosa in mano. Guardò col Vicario il questionario. A Sua Eminenza rimase molto impressa la frase “questi coloni non comprendono come mai in una chiesa dotata di tre poderi non venga un sacerdote”. Firmò i registri e visitò i parati. Poi col sig. Vicario in automobile, al ritorno, visitò il Camposanto recitando il De Profundis. E partì per San Piero in Mercato.

La sera ritorna alle 14. Piove ancor più della mattina. Se non fosse piovuto ci sarebbe stata la chiesa zeppa. Sua Eminenza per aspettare le persone che forse, a causa del tempo, erano rimaste un po’ indietro nella strada, si mette in una stanza a dire l’ufficio. Dopo poco si fa la visita al S.S. Sacramento. Sua Eminenza parla di nuovo al popolo inculcando la santificazione della Festa (S.Messa – Riposo festivo – Catechismo agli adulti), raccomandando il catechismo alla gioventù e le principali virtù cristiane. Amministra la S. Cresima a undici bambini del popolo, dà la Benedizione col S.S. Sacramento e quindi hanno luogo le esequie per i defunti. Termina la Visita Pastorale.

Sua Eminenza si trattiene a parlare col sig. Vicario. Gli dice di predicare, di raccomandare la vita cristiana, di fare il suo dovere.

Poi l’automobile parte fra uno scroscio di applausi. Ritornerà fra cinque anni il nostro Cardinale?

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Per l’occasione don Livi fece fare un santino ricordo dell’evento da distribuire ai parrocchiani. Qui sopra il retro, mentre il davanti con l’immagine di Cristo che pasce le pecore è incima al topic.